Lo scorso weekend per un po’ è sembrato non solo che ci fosse ancora una corsa, ma anche di essere tornati indietro nel tempo. In un grande gruppo c’erano nello stesso momento Rigoberto Uran, Vincenzo Nibali, Fabio Aru, Egan Bernal, Valerio Agnoli, Nairo Quintana… Era El Giro de Rigo, la tradizionale gran fondo organizzata da Uran che è ormai sempre più un giorno di festa.
A raccontarci come è andata è proprio Aru, fortemente voluto da Uran. A Barranquilla, nella sua Colombia, Rigoberto ogni anno raduna migliaia di appassionati provenienti da tutto il Paese, ma anche da molte nazioni vicine e lontane.


La grandezza di Uran
Prima di entrare nel dettaglio con Aru, bisogna sapere che Uran è una vera star nel suo Paese, nonostante abbia vinto meno rispetto a gente come Bernal o Quintana. Sui social è seguitissimo, ha un tour operator specializzato, una catena di ristoranti e gode di enorme rispetto tra i colleghi, anzi ex colleghi. In tanti anni di interviste non c’è stato uno che non abbia espresso parole di stima nei suoi confronti. L’ultimo in ordine di tempo è stato Gianluca Brambilla.
«Posso confermare che è così – ha detto Aru – anche se non ho mai corso con Rigo, tra di noi c’è un ottimo rapporto. Nel 2020 passai alcuni giorni in Colombia, dalle sue parti a Medellín: ci allenammo insieme e restammo amici. In gruppo era sempre rispettato e benvoluto».
E’ così che in una soleggiata mattina di Barranquilla, cittadina colombiana nel distretto dell’Atlantico affacciata sul mar dei Caraibi, 8.000 ciclisti si sono ritrovati per affrontare due percorsi: uno da 165 chilometri e uno da 72.
«E’ stato un evento veramente bellissimo – ha raccontato Aru – Rigoberto è davvero popolare e in Colombia è una star, ha un seguito pazzesco. Per non parlare poi dell’organizzazione: perfetta. Tanti spazi dedicati dopo l’arrivo, servizi ad hoc… Agnoli ha anche fatto i massaggi! C’erano ciclisti dal Venezuela, dall’Argentina, dall’Ecuador e tutto questo bene Rigo se lo merita. Tra l’altro una giornata così è un’ottima propaganda per il ciclismo. E il fatto che tanti campioni abbiano risposto presente la dice lunga».








Campioni tra la gente
E’ stata così una due giorni di festa. Dall’Italia, Agnoli, Nibali e appunto Aru sono volati tutti insieme. Già l’accoglienza all’aeroporto è stata super calorosa, tra foto, fan e l’ospite di casa ad attenderli. Sono arrivati il venerdì, hanno fatto un giro per la città, anche in barca, e il sabato sono stati con Uran al villaggio della gara per le attività legate all’evento. Poi, la domenica mattina, si sono buttati nella mischia.
«Abbiamo fatto il tracciato da 165 chilometri – prosegue Aru – ci siamo fatti una bella foto davanti al grande gruppo e poi abbiamo pedalato con la gente. L’obiettivo era proprio quello di stare tra gli appassionati. Alla fine il dislivello era di 1.500-1.600 metri, quindi non era impossibile. Ho pedalato con Vincenzo, Rigoberto ed Henao, mentre Bernal e Quintana erano più avanti. Ai ristori ci siamo fermati, fatto foto… e oltre ai sali e alle barrette ho mangiato anche le tipiche papas, una sorta di patate bollite!.
«Ci siamo divertiti molto, sia durante che dopo la gara. Nibali e Quintana sono saliti sul palco e si sono messi a cantare, altri hanno ballato. Io ci ho provato, ma sono davvero un pessimo ballerino!».


Il podio del Giro 2014
Aru rimarca il grande calore che Barranquilla e la Colombia intera hanno riservato a Uran. Questo evento è nato nel 2018 e ogni anno è cresciuto, diventando un vero must. Si dice anche che Uran voglia “esportare” le sue gare in tutto il mondo: sponsor e amici certo non gli mancano.
Come ricorda Aru, pur essendo una gara, esattamente come una nostra granfondo, c’è chi ha spinto, ma la maggior parte era lì per godersi la giornata.
L’occasione è stata anche un modo per raccontare aneddoti. «Alla fine – ricorda Aru – c’era presente il podio del Giro d’Italia 2014: primo Quintana, secondo Uran e terzo io. Fu una bella sfida e l’abbiamo ricordata».
Tra l’altro, una cosa che piace molto ai fan italiani è che, nonostante il Tour o la Vuelta, Uran abbia voluto chiamare la sua granfondo “Giro”, come il Giro d’Italia, per sottolineare il legame profondo con il nostro Paese e con la nostra corsa.
«Ma forse la cosa che mi ha colpito di più – aggiunge Aru – è stato il soprannome che mi hanno affibbiato i colombiani: El hombre de las mil caras, l’uomo dalle mille facce, per le mie espressioni quando pedalavo. Un po’ come Julian Alaphilippe. Gli ho spiegato che ero così perché facevo una gran fatica e spesso davo più di quello che avevo. Per il resto non abbiamo parlato troppo di ciclismo, ma ci siamo davvero divertiti e rilassati».