È esasperante il dibattito sulla “lezione americana”. Su quanto ci sia da imparare da un candidato che fino alla vigilia delle primarie non conosceva nessuno e che in due mosse vince le elezioni a sindaco di New York. È sfinente che di nuovo, ancora una volta la sinistra italiana si entusiasmi per l’ascesa di un nuovo astro che improvvisamente diventa il faro, l’esempio da seguire, la speranza. Bisognerebbe — anziché chiedersi dov’è, chi è il nostro Mamdani — riflettere sulle ragioni per cui nel nostro Paese chi parla una lingua nuova, chi propone un modo diverso di agire sia sistematicamente emarginato, messo alla porta. In poche parole, direi: in politica come in tv come nel mondo della cultura e delle scienze, nelle accademie, nei luoghi pubblici di potere non passa niente che non sia ammesso per graziosa concessione dalle generazioni precedenti. Favorisco esempi. Consiglieri comunali eletti a furor di popolo, nuovi alla politica e pieni di entusiasmo possono fare un giro, al massimo, se appunto portano caterve di voti di speranzosi elettori e dunque non si può proprio fare a meno di includerli. Ma se nel loro primo mandato non si associano a qualche leader, corrente, se non si piegano alle logiche del “a chi appartieni” vengono, la seconda volta, esclusi. Se non hai nessuno alle spalle nessuno rivendicherà l’offesa, quindi a posto. Se in tv presenti un nuovo progetto che non somigli a qualcosa di già noto sarai eliminato — nell’ipotesi remota che tu sia stato ammesso alla prova — dopo tre settimane, due mesi al massimo. Non importa che tutto quel che c’è stia declinando negli ascolti. Nessuno rischia un rodaggio, la pubblicità comanda. Se un giovane brillante comunicatore propone una strategia (è un ventenne, lo stratega di Mamdani) viene pregato di non agitarsi, ci sono le costose agenzie, può mettersi in coda. Persino Schlein, a distanza di anni, è ancora vista con sospetto. Vedrete, arriverà presto il nuovo vecchio federatore. Certo non può essere lei, una ragazza.