di
Anna Gandolfi
Imprenditore, volto tv, musicista, porta a teatro «Money – Il bilancio di una vita». «Eravamo gli emigranti poveri nel Queens, vivevamo di alette di pollo. Oggi non sopporto chi tratta con supponenza i camerieri»
«Sono arrabbiato. Dopo tanti anni non mi passa. Quando vedo quelli che trattano con supponenza i camerieri mi irrito…».
Joe Bastianich è alla guida di una galassia di attività: più di venti ristoranti nel mondo, aziende vinicole, bistrot, persino un’azienda di digital marketing con base a Milano. Ma c’è stato un momento in cui «la fame a casa era vera. Eravamo i migranti poveri. Ogni giorno c’era gente che guardava i miei dall’alto in basso: “Valete meno di noi”».
Noi chi?
«L’avvocatone, il commercialista, il tal fornitore, certi compagni di scuola indicavano quello un po’ sfigato, un po’ ciccione, che a merenda portava gli avanzi della cena (io!). A fine anni 60 la mia famiglia ha aperto il primo ristorante, Buonavia, nel Queens, piena periferia newyorkese. Noi, gli italiani che cucinavano: in quel contesto la ristorazione era un settore più che umile. Nonna Erminia ripeteva: dobbiamo lavorare di più per dimostrare qualcosa. “Rispetto agli altri siamo un gradino sotto”».
E se lo ricorda ancora.
«Ce l’ho qui in testa. Sono stato male, mi sono arrabbiato, ma ho anche avuto la spinta. A 10 anni, per 9 dollari a settimana, mi alzavo all’alba, prendevo la bici e consegnavo giornali al lancio prima di andare a scuola. Finché un panettiere mi ingaggia per infornare bagel: i dollari erano diventati addirittura 18».
Tra i giudici di Masterchef (Cracco, Barbieri, Cannavacciuolo…) era il «non-chef». Questo le pesava?
«Direi di no. Quando sono arrivato lì (2011, ndr) avevo già 4.500 dipendenti».
Ora a quanti dà lavoro?
«Una stima precisa è difficile perché le realtà sono molte, ma circa tremila. Alcuni sono diventati miei soci. Le opportunità che ho avuto io le do anche agli altri».

Bastianich — classe ’68, ristoratore, personaggio tv, musicista — è un volto noto. Meno lo è la sua parabola ascendente, diventata ora uno spettacolo-autobiografia in arrivo il 12 novembre al Teatro Carcano di Milano. Titolo: «Money – Il bilancio di una vita».
Money che non c’era.
«A casa abbiamo scongelato tonnellate di alette di pollo, non ci potevamo permettere di meglio. In seguito il ristorante nel Queens ha ingranato e i miei genitori sono arrivati a Manhattan (con l’insegna Felidia, nel 1981)».
Ne ha aperto uno suo.
«I primi 80 mila dollari me li ha prestati proprio la nonna materna Erminia».
Adesso i soldi non mancano. Che sfizio si è levato?
«Fermarmi solo al business non mi faceva stare bene. Adesso, grazie a ciò che ho fatto prima, posso dedicarmi al mio lato creativo e farlo crescere: mi sento completo. Musica, teatro».
Cosa ha studiato?
«Filosofia e Teologia al Boston College, con i gesuiti».
Presentando «Money» dice che parlerà di successi e fallimenti. Dei successi sappiamo, e i fallimenti?
«Alcuni ristoranti li ho dovuti chiudere».
Ha licenziato?
«In America non è possibile riassorbire i lavoratori come avviene in Italia, i meccanismi sono diversi. Chiudere è stato doloroso. Ma posso dire che ho collaboratori che sono con me da più generazioni. Credo nella squadra ed è un grande orgoglio».
Trovare personale per i locali è difficile oggi?
«Anche per un’azienda sana è difficile, sì. Lo vedo a Milano, che conosco bene e dove lavoro a nuove iniziative».
Lei che vive a New York cosa dice dei prezzi di Milano?
«Anche New York è cara, ma gli stipendi sono più commisurati. A Milano se guadagni 2 mila euro, e l’affitto ora ne prende una bella fetta, fai fatica».
Gli stipendi medi di chi lavora per le sue società?
«Le realtà sono molto differenti, dare un dato è impossibile».
A Milano si gira Masterchef: è stato un pioniere della trasmissione.
«Gordon Ramsay, un amico, mi ha coinvolto negli Usa. Il format è poi giunto qui».
Ha collaborato al lancio.
«E ho fatto il giudice per otto anni».
Con i colleghi giudici è restato in contatto?
«Con Cracco e Barbieri ci sentiamo. Con Antonino (Cannavacciuolo, ndr) facciamo pure le vacanze insieme, via con le famiglie. Durante il programma stai a contatto quasi h24, condividi tutto e si creano legami forti».
In tv l’abbiamo vista alle prese con l’Ayahuasca (provata in Perù per le Iene): non ha fatto mistero di non disdegnare l’effetto di erbe psichedeliche.
«Non sono per tutti, ma se usate nel modo giusto possono aiutare a metterti in contatto con te stesso. L’esperienza con l’Ayahuasca è stata pazzesca e ho pure smesso di fumare le sigarette».
Usa marijuana?
«La medicina delle piante è antichissima e può aiutare le potenzialità enormi del cervello umano. Ripeto, se usata bene senza abuso (Bastianich ha investito anche in una società che commercializza prodotti a base di canapa legale, ndr). E non è per tutti».
Fa questo discorso ai suoi figli?
«Ai miei figli dico cosa penso».
Con sua moglie Deanna, appunto, ne ha tre.
«Olivia, Miles ed Ethan, di 28, 26 e 24 anni».
Il lavoro ha portato via tempo alla famiglia?
«Per seguire i ristoranti, e poi per la musica, sono stato meno presente».
È un rimpianto?
«Credo che dare un esempio ai miei figli di cosa si possa fare impegnandosi sia un insegnamento importante. Loro l’hanno colto».
Sua moglie cosa dice?
«È parte della squadra, anche nel lavoro. Ed è colei che ha saputo tenere insieme tutto».
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9 novembre 2025
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