L’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato nei giorni scorsi un allarme: nel 2023 una persona su sei nel mondo ha contratto un’infezione batterica resistente ai trattamenti antibiotici. Dai dati dl sistema di sorveglianza Glass (Global antimicrobial resistance and use surveillance system), che raccoglie informazioni da oltre 100 Paesi, emerge una crescita della resistenza antimicrobica del 40% tra il 2018 e il 2023, con un incremento medio annuo compreso tra il 5% e il 15%. Nel mondo, le infezioni causate da otto batteri comuni (Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Salmonella, Shigella e Neisseria gonorrhoeae) sono quelle più colpite dal fenomeno.

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Dottor Francesco Cristini, primario dell’Unità operative di Malattie infettive dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, cosa significa concretamente che “un’infezione batterica su sei è resistente agli antibiotici”?
“Le più comuni infezioni dell’uomo si curano comunemente con determinati antibiotici, spesso per via orale, storicamente utilizzati con beneficio. Ai giorni nostri questi antibiotici cosiddetti di prima linea non funzionano più in un numero considerevole di casi, si calcola uno su sei. Bisogna pertanto ricorrere ad antibiotici a spettro d’azione più ampio, spesso disponibili solo per via endovenosa, che quindi richiedono un ricovero in ospedale”.

Quali sono i fattori principali che stanno favorendo questa diffusione della resistenza antimicrobica, sia in Italia che nel mondo?
“Il fenomeno della resistenza antibiotica si diffonde nel mondo, ma soprattutto nei paesi in cui si fa un maggiore utilizzo di antibiotici, anche in quelle circostanze in cui non servono. L’abuso di antibiotici favorisce l’incremento nella popolazione di infezioni sostenute da batteri resistenti”.

Nella sua unità operativa a Forlì, sta osservando un aumento di casi di infezioni resistenti agli antibiotici? Se sì, quali tipi di infezioni e quali batteri sono più coinvolti?
“Nella mia Unità Operativa è comune il riscontro di infezioni dovute a batteri resistenti in pazienti che provengono da casa. Nelle infezioni che insorgono in ospedale il fenomeno della resistenza è ancora più marcato, perché i pazienti già ricoverati per altri motivi sono più fragili e quando si ammalano di infezione i batteri sono ancora più resistenti rispetto alle infezioni che insorgono in comunità”.

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Come si può contrastare questo fenomeno?
“Il contrasto alla antibiotico-resistenza si basa sull’utilizzo il più corretto possibile di questi importantissimi farmaci. Gli antibiotici vanno infatti assunti quando il medico li consiglia, perché ritiene che una determinata infezione sia sostenuta da un batterio, piuttosto ad esempio che da un virus, che invece non beneficia alcunché dall’uso di un antibiotico. Inoltre, anche laddove l’antibiotico serve, bisogna assumerlo per il tempo corretto indicato dal medico. Sono molto rare infatti le infezioni che richiedono lungo periodi di terapia”.

Il rapporto dell’Oms mette in evidenza particolare attenzione ai batteri Gram-negativi come Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae che stanno acquisendo resistenze elevate. Qual è la situazione di questi ceppi nelle strutture ospedaliere italiane?
“La situazione di questi batteri è molto seria sia nelle infezioni di comunità che nelle infezioni ospedaliere. Orientativamente alle nostre latitudini, a seconda di quale dei due batteri si considera, dal 30 al 50% dei ceppi sono resistenti ai più comuni antibiotici orali, sia in comunità che in ospedale. Questi due batteri gram negativi rappresentano i principali patogeni dell’uomo, mentre lo Staphylococcus aureus è il principale patogeno gram positivo per l’uomo, anche questo non scevro dal rischio di resistenze”.

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Quali sono i soggetti più a rischio?
“I soggetti più a rischio di ammalarsi di una infezione dovuta a batteri resistenti sono i pazienti più fragili, fra cui gli anziani, i pazienti con multiple patologie croniche di base, gli immunodepressi. Perché sono soggetti che, più spesso dei sani, si ammalano di infezioni e quindi più spesso devono essere curati con antibiotici”.

Quali sono le implicazioni cliniche e per il paziente, quando si tratta di un’infezione resistente agli antibiotici? E quali rischi maggiori ci sono?
“L’implicazione principale è il rischio che il paziente con infezione batterica non risponda favorevolmente ad una terapia antibiotica empirica. Molto spesso si ricorre infatti a terapia empirica, soprattutto in comunità, ossia quando non si conosce quale sia nel dettaglio il batterio in causa, ma lo si sospetta in base a sintomi specifici. Negli ambulatori in comunità spesso non c’è infatti la possibilità di ricorrere alle indagini di laboratorio prima di iniziare una terapia. Si pensi ad una infezione non necessariamente grave, come una semplice cistite. Se il batterio che sostiene questa infezione è resistente al farmaco prescritto in modo empirico, l’infezione può anche peggiorare e richiedere successivamente un ricovero per fare una terapia a spettro più ampio”.

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Molto spesso si parla di “uso sbagliato” degli antibiotici: cosa intendiamo precisamente con questo termine e quali sono gli errori più frequenti tra i pazienti?
“Il principale uso sbagliato degli antibiotici si riferisce all’abuso, ossia l’assunzione di antibiotici quando non servono. L’esempio paradigmatico sono le frequentissime infezioni virali delle vie respiratorie, tipiche soprattutto della imminente stagione fredda, negli adulti ma frequentemente anche nei bambini. Gli antibiotici uccidono i batteri, se non sono resistenti, ma non uccidono mai i virus. Anche un dosaggio sbagliato dell’antibiotico è un errore. Prendere un dosaggio più basso di quello indicato dal medico, anche quando l’antibiotico serve davvero, rende la terapia inefficace ed aumenta il rischio che insorgano resistenza all’antibiotico anche correttamente indicato in prima battuta. Altro errore comune è prendere l’antibiotico più a lungo di quanto prescritto, nella falsa credenza che funzioni meglio”.

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Quali consigli darebbe ai pazienti affinché l’uso degli antibiotici sia davvero responsabile e riduca il rischio di sviluppare o diffondere resistenze?
“Attenersi strettamente alle indicazioni del medico, e non usare gli antibiotici avanzati in casa ad esempio per precedenti utilizzi, prima di essersi confrontati con il proprio medico, soprattutto quando i sintomi di una infezione non sono per nulla tipici di una infezione batterica ma sono molto comuni delle infezioni virali. Si pensi sempre a quanti malanni a carico soprattutto delle alte vie respiratorie vi sono in inverno, in primis l’influenza e il Covid-19”.

Per concludere, qual è il messaggio principale che lei vuole lasciare ai lettori/utenti riguardo all’importanza dell’uso responsabile degli antibiotici?
“Usare gli antibiotici in modo responsabile garantisce a noi stessi, ma soprattutto alle generazioni future, un mondo in cui le infezioni diventano sempre meno resistenti agli antibiotici. In questo scenario le infezioni si possono curare più facilmente, con meno rischi per la vita, ed anche risparmiando risorse economiche, perché gli antibiotici ad ampio spettro ed i ricoveri ospedalieri, spesso necessari per curare queste infezioni, sono una voce consistente della spesa sanitaria”.