John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.A gettare luce su questi anfratti ci ha pensato lo scrittore Daniel Rachel, con un godibile saggio appena uscito in Inghilterra e intitolato This Ain’t Rock ’n’ Roll: Pop Music, the Swastika and the Third Reich (White Rabbit). La copertina del libro, con un membro della gioventù hitleriana e caratteri in gotico, dice già tutto. La fascinazione per il nazionalsocialismo di alcune rockstar è nota: pensiamo a David Bowie, a Lemmy Kilmister o alle provocazioni punk dei Sex Pistols. Rachel parla anche di loro, ma i capitoli più interessanti sono quelli sugli insospettabili.Pensiamo a John Lennon: proprio lui, il pacifista, colui che immaginava un mondo senza patrie e senza confini. Eppure, nel 1964, alla presentazione di A Hard Day’s Night, Lennon salutò la folla dal balcone del municipio di Liverpool con quello che sembra un braccio teso. Un gesto casuale, immortalato da un fotografo malandrino? Non proprio, dato che, da studente, il futuro cantante aveva immaginato e disegnato esattamente la medesima scena: si tratta di un autoritratto di lui con gli occhiali e i capelli arruffati, in piedi su un podio con il braccio alzato in un rigido saluto, mentre la folla saluta al grido di «Heil John». Nel 2018, l’autoritratto incriminato è stato venduto all’asta per 54.000 dollari. Il disegno a inchiostro faceva parte di una serie creata quando Lennon era studente al Liverpool College of Art e che includeva una serie di svastiche incorporate in distintivi disegnati a mano. Durante un’asta di cimeli del cantante, la sua prima moglie, Cynthia Powell, avrebbe confessato a un partecipante: «John era assolutamente affascinato da Adolf Hitler. Da ragazzo, collezionava e scambiava distintivi, medaglie, pugnali e altre cose naziste. Si faceva chiamare John “Adolf” Lennon, invece di Winston. Ricordo che mi diceva che Hitler era come un moderno Gesù Cristo e che aveva conquistato il mondo… e quasi vinto…». Va detto che, anche sul fronte dei rivali storici dei Beatles, ci si difendeva. Nel 1965, mentre i Rolling Stones attendevano di salire sul palco a Berlino, il loro manager (ebreo) Andrew Loog Oldham sfidò Mick Jagger a entrare in scena facendo il passo dell’oca. Jagger accettò la sfida e «si fece strada sul palco con il Sieg Heil sulle note di Satisfaction. Il giovane pubblico tedesco prese alla lettera lo scherzo di Jagger, eccitandosi e trasformando inavvertitamente il concerto in un raduno nazista improvvisato», ha raccontato lo stesso Oldham. Due anni dopo, sempre durante un tour in Germania, gli Who furono cacciati da un bar per aver simulato anche loro una parata nazista. La groupie Pamela Des Barres ha inoltre assicurato come anche Jimmy Page dei Led Zeppelin andasse matto per le uniformi e i simboli nazisti.Si farebbe un torto al senso del ridicolo, ovviamente, se volessimo interpretare questi riferimenti con le categorie della politica. In questo sfoggio di croci uncinate c’è voglia di provocare, goliardia, infatuazione puramente estetica, per tacere del ruolo che vi svolgono alcol e droghe. Ma si tratta lo stesso di una spallata vigorosa a tutto il racconto della storia del rock invalso fino ad ora. Sul fascino delle uniformi e delle parate, del resto, sono caduti anche i più innocenti. Madonna fu criticata per la sua estetica ispirata a Il portiere di notte e Salon Kitty («Il portiere di notte tocca un argomento di cui la gente non ama parlare: che le persone sono attratte da cose che causano loro dolore, lo vogliono. Io sono attratta da questo genere di cose», dichiarò). Lady Gaga ha avuto qualche imbarazzo nel suo sostegno a Hillary Clinton per l’estetica marziale e fasciogay del video di Alejandro, mentre nel 1995 Michael Jackson lasciò i critici a bocca aperta pubblicando un teaser di HIStory ispirato al Trionfo della volontà di Leni Riefenstahl. Dove non colpiscono i simboli, ci pensa la figura mistica del capo, in fondo non così diverso dalle moderne rockstar. In un’intervista del 1982 al programma televisivo americano Night Flight, a Ozzy Osbourne fu chiesto dei riferimenti che avevano influenzato la sua immagine scenica e, a sorpresa, il cantante nominò Adolf Hitler. Pur spiegando che Hitler era un «mostro» e un «pazzo», e deplorando le uccisioni di massa, il frontman dei Black Sabbath aggiunse: «Aveva qualcosa di speciale. Lo ammiravo… All’improvviso ho pensato: “Se qualcuno lo esprimesse in modo positivo, per il bene dell’umanità…”». Più complessa, e ben più politica, la vicenda legata alle opinioni scorrette di Eric Clapton. Il 5 agosto 1976, durante un concerto al Birmingham Odeon, si mise a inveire contro gli immigrati e a elogiare Enoch Powell, il controverso politico che per primo lanciò il grido d’allarme contro l’invasione migratoria: «Non vi voglio qui, nella sala o nel mio Paese. Votate per Enoch Powell, impedite alla Gran Bretagna di diventare una colonia nera. Via gli stranieri! Mantenete la Gran Bretagna bianca! Una volta mi piaceva la droga. Ora mi piace il razzismo». Non molto tempo dopo, in un’intervista, si presentò con una Croce di Ferro sotto la camicia: «Le indosso semplicemente perché penso che il design sia fantastico». Ginger Baker, il batterista dei Cream, aggiunse: «Ho un berretto da ufficiale delle Ss. Penso che sia una buona cosa indossare queste cose. Fa ricordare a qualcuno che c’è stata una guerra». Clapton non si è mai scusato per gli insulti di Birmingham. Anzi: nel 1978 definì Enoch Powell un profeta. Nel 2004, affermò che il politico conservatore era stato «oltraggiosamente coraggioso». E nella sua autobiografia, pur attribuendo le frasi del 1976 all’alcol, ha aggiunto: «Da allora ho imparato a tenere per me le mie opinioni». Non un granché, come tentativo di presa di distanza.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Alfredo Mantovano (Imagoeconomica)