Ma che cosa c’entra un rivoluzionario artista figurativo contemporaneo cinese dissidente, che non ha mai fatto il regista di teatro, che ascolta pochissima musica e che detesta l’opera lirica, con la messa in scena della Turandot di Puccini al Teatro dell’Opera di Roma? C’entra, eccome. Lui è Ai Weiwei, artista coraggioso, inviso al governo cinese, che lo ha arrestato, segregato, picchiato, incarcerato più volte. Lei è Turandot, l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, che morì senza averne scritto l’ultima nota. Ai Weiwei ha preso fra le sue manone la Turandot, le ha tolto molta polvere di dosso, e le ha dato una nuova valenza politica e sociale, una vitalità tutta contemporanea. Tutto questo lo scopriamo vedendo il documentario Ai Weiwei’s Turandot, presentato come evento speciale della 66ª edizione del Festival dei Popoli, la più grande manifestazione europea di cinema non fiction.
Il regista, Maxim Derevianko, è stato alle calcagna di Ai Weiwei nel lungo percorso che lo ha portato fino all’aprirsi del sipario, nel marzo 2022, con due anni di ritardo rispetto al progetto iniziale, per via della pandemia. Derevianko ha filmato Ai Weiwei, la sua coreografa cinese, lo scenografo, la creatrice dei costumi: tutti messi in crisi dalle richieste di Ai Weiwei, ma anche esaltati dalle sfide che l’artista cinese proponeva loro. Balletti che richiamano il Moonwalking di Michael Jackson, una mappa del mondo come scenografia, dove gli oceani stanno però in alto e i continenti sono come delle buche; e ancora, costumi mai visti, con la costumista costretta a interpretare idee che all’inizio sembrano folli, e poi si rivelano geniali. E alla fine, nell’allestimento scenico trovano posto anche riferimenti alla guerra in Ucraina, con immagini filmate della drammatica marcia dei rifugiati ucraini sullo sfondo.
Maxim Derevianko, 34 anni, è nato e cresciuto a Roma. La nonna, dalla quale prende il cognome, era ucraina. Maxim è figlio di un ballerino russo del Bolshoj e di una solista del corpo di ballo del teatro dell’Opera di Roma. Il bisnonno era primo violinista del teatro dell’Opera.
Derevianko, come è nato questo film? “È iniziato come “making of“ dell’opera, per raccontare il processo creativo di Ai Weiwei. Ma dieci giorni dopo che avevo iniziato a girare, tutto si è fermato per il Covid. Disperato, sono andato da Ai Weiwei e gli ho chiesto dieci minuti di intervista. Ho pensato: o questa cosa distruggerà per sempre il film, o lo renderà qualcosa di diverso, e più grande”.
È quello che è accaduto. Il film è diventato un documentario che si interroga sul senso dell’arte. “Esattamente. Ai Weiwei, essendo uno dei più grandi artisti viventi, rende il film una riflessione sull’arte e sulla sua forza. Su quanto l’arte può essere politica. Il Covid e la successiva guerra in Ucraina sono entrati prepotentemente anche dentro l’allestimento dell’opera”.
Come è entrato in rapporto con Ai Weiwei? “Gli ho raccontato molto di me, della mia storia: ho capito che era entrato in connessione con me. Abbiamo avuto un rapporto molto schietto: mi diceva, molto chiaramente, quando potevo filmarlo e quando preferiva che certe cose non fossero mostrate. Non perché fosse una star che fa i capricci, ma per le conseguenze politiche che poteva subire”.
L’opera rimane uno spettacolo per le classi più privilegiate. Il film potrà arrivare a un pubblico più vasto? “Lo spero proprio, anche perché è sempre stato il mio credo. Mi proposi per lavorare al Teatro dell’Opera nel 2015 avendo l’idea di fare video per il mondo internet, per arrivare alla mia generazione, per rendere la danza e l’opera molto contemporanei. Spero proprio che questo documentario sia il più accessibile”.
Ha scelto di rendere visibile il libretto dell’opera. “Nasce da un’esigenza che ho sentito fin da bambino: detestavo l’opera perché non capivo le parole che venivano pronunciate. Con un testo in sovrimpressione tutto sarebbe stato risolto”.
Quella del Festival dei popoli è stata la prima italiana del film. “Sì: e sono molto orgoglioso che il film venga mostrato dal più importante festival di cinema documentario d’Europa, e in una città alla quale Ai Weiwei è molto legato, con la grande mostra Ai Weiwei. Libero che lo ospitò e celebrò a Palazzo Strozzi”.
Siete pronti per il centenario della prima mondiale della Turandot, che fu nel 1926. “Esatto. Abbiamo perso per pochi mesi la celebrazione del centenario della morte di Giacomo Puccini; ma siamo in tempo per il centenario del debutto di Turandot alla Scala”.