di
Marco Imarisio
Gli analisti militari russi sono molto più cauti di quanto richieda la trionfalistica propaganda televisiva del Cremlino
I primi fiocchi sulla Russia europea sono caduti nella notte del 14 ottobre. Era il giorno in cui si celebrava il Pokrov, una festa cristiana che ricorda il miracolo avvenuto nel 910, quando ai religiosi rinchiusi in una chiesa di Costantinopoli per pregare contro l’arrivo dei barbari, apparve la Madonna, che si tolse il velo e lo stese sui suoi fedeli. Poco dopo, una tempesta distrusse la flotta dei nemici. La saggezza popolare sostiene che se nevica durante questa ricorrenza, bisogna aspettarsi un inverno lungo e ancora più freddo del solito. Sarà anche per questo, ma gli analisti militari di Mosca, anche a quelle latitudini estreme c’è abbondanza di presunti esperti, sono molto più cauti di quanto richieda la trionfalistica propaganda televisiva del Cremlino.
Anzi, in una opinione pubblica compatta come un monolite, si permettono anche il lusso di avere opinioni divergenti tra loro. In un Paese dove è ancora popolare il mito del generale Moroz (gelo, in italiano) che avrebbe fermato l’avanzata dei tank tedeschi, nessuno è disposto a scommettere su un inverno decisivo o diverso da quelli degli ultimi tre anni. «Date le attuali forme e modalità di impiego delle forze armate russe, non si intravede alcuna evoluzione catastrofica della situazione per le forze armate ucraine nella zona di operazioni speciali in questa fase, e non appare prevedibile una svolta radicale nel corso del conflitto armato». Sono parole del colonnello Mikhail Khodarenok, considerato una delle persone più competenti in materia, dato anche il suo passato su ogni possibile fronte di guerra.
Un altro militare, altrettanto qualificato, smentisce, dal lato russo per di più, l’enfasi tutta nostrana riposta sulla battaglia, inevitabilmente «decisiva» di Pokrovsk. «Anche se nel prossimo futuro questa città, e pure Kupjansk, dovessero essere definitivamente conquistate, per le forze armate ucraine un simile sviluppo della situazione non si tradurrà in una catastrofe su larga scala. Pokrovsk e Kupyansk non sono certo Stalingrado, né Kursk, e tanto meno Berlino».
Non ci sarà la spallata, dicono tutti. Tanto meno il colpo da ko mimato da qualche altro personaggio dei teatrini televisivi russi, come se questo dramma fosse paragonabile a un incontro di boxe.
Parliamo tanto di droni, ma è chiaro che ci troviamo ormai prigionieri di una guerra antica. L’atto novecentesco compiuto da Vladimir Putin con l’invasione di un Paese sovrano è diventato un conflitto del secolo scorso, poco importano le nuove tecnologie e le enfasi di una politica sempre più affine agli slogan isterici dei social.
Alla Russia ci vorranno mesi, se non anni, per riconquistare tutto il disastrato Donbass, l’obiettivo minimo senza il quale il Cremlino non potrà mai fingere di cantare vittoria, e per questo non può permettersi alcuna concessione territoriale.
Pochi giorni fa, a Mosca, un politico fedele alla linea ma ancora capace di qualche vaga ironia, naturalmente sotto garanzia di anonimato, faceva notare il paradosso di questa continua sovrapposizione calata dall’alto tra la Grande Guerra Patriottica e la cosiddetta Operazione militare speciale, che il prossimo gennaio supererà per durata i quasi quattro anni del 1941-1945: «In quel lasso di tempo se non altro Stalin arrivò a Berlino, mentre Putin è ancora fermo a Pokrovsk».
La conseguenza di tutto questo è un dibattito sempre più stanco e ripetitivo. In Russia come nel resto del mondo. Pronto ad accendersi e ad affidare proprietà messianiche a ogni capitolo di questa guerra. Ognuno sembra disposto a vedere solo i dettagli più favorevoli alla sua parte e alle sue previsioni. Nello stesso giorno, l’Ucraina può essere sull’orlo della sconfitta come su quello della riscossa, mentre la Russia è ormai per definizione a pochi passi dal collasso, che anche se dovesse avvenire non impedirebbe comunque a Putin di continuare la sua guerra, esistenziale soprattutto per lui. L’antico dilemma su come si raccontano storie drammatiche che hanno continuità e che per il pubblico diventano inevitabilmente ripetitive si risolve spesso nell’adesione incondizionata a una tesi precostituita oppure in sterili previsioni spacciate come granitiche certezze. Quando invece l’unica cosa che pare sicura è che passerà anche questo inverno, e che la tragedia dell’Ucraina sembra destinata a continuare.
10 novembre 2025 ( modifica il 10 novembre 2025 | 08:31)
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