Monumentalità, emozione, umanità. È con queste parole che si può riassumere la potenza espressiva del “Mendicante moro”, l’ultimo capolavoro entrato a far parte delle collezioni delle Gallerie degli Uffizi. Realizzato nella prima metà del XVIII secolo dal pittore milanese Giacomo Ceruti, noto anche come il Pitocchetto, il dipinto rappresenta una delle testimonianze più alte della sua arte: quella di aver dato volto, dignità e spessore umano agli ultimi, in un’epoca in cui la pittura riservava solennità solo ai nobili e ai potenti.
L’opera, già conosciuta dagli studiosi per la sua partecipazione alla storica mostra “I Pittori della realtà” curata da Roberto Longhi nel 1953, e recentemente protagonista dell’esposizione “Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento”, arriva ora agli Uffizi come nuova icona destinata a entrare nell’immaginario collettivo. Il protagonista della tela è un uomo vestito di stracci, colto nell’atto di chiedere l’elemosina.
Ceruti lo ritrae con la stessa compostezza formale e la medesima dignità che, all’epoca, erano riservate ai ritratti nobiliari. Il suo volto è scavato, realistico, segnato dalla fatica, ma soprattutto i suoi occhi profondi e vivi, catturano lo spettatore con una forza straordinaria. È lì che si concentra il cuore emotivo del dipinto: uno sguardo colmo di dolore e di dignità, che trasforma il mendicante in un ritratto universale dell’umanità.
Il “Moro” di Ceruti non è un elemento decorativo, come accadeva nella statuaria dei “mori” che ornavano palazzi e salotti aristocratici è una persona reale, dotata di individualità e spessore psicologico.
Una svolta nella pittura del Settecento
Nel contesto artistico del tempo, il “Mendicante moro” segna un radicale cambio di prospettiva. Durante il Rinascimento e il Barocco, figure di origini africane erano spesso relegate a ruoli secondari – paggi, ancelle, servi – e ridotte a simboli dell’opulenza dei committenti. Ceruti, invece, rompe questa convenzione: eleva l’umile a soggetto degno di ritratto, con la stessa monumentalità riservata ai potenti.
È proprio in questa scelta che risiede la modernità della sua arte: un’attenzione nuova verso il popolo, verso quell’umanità operosa e dignitosa che, di lì a poco, avrebbe dato origine alla borghesia europea. I suoi mendicanti, i suoi poveri, i suoi lavoratori non sono figure di compassione, ma testimonianze di un mondo che cambia.
Un arricchimento per le collezioni degli Uffizi
Con questa acquisizione, le Gallerie degli Uffizi colmano una lacuna importante nella rappresentazione del Settecento italiano. Fino a oggi, infatti, il museo possedeva solo un’altra opera di Ceruti, Il ragazzo con cesta di pesci e granseole, di minore intensità rispetto a questo nuovo ingresso.
“Dopo il Matrimonio Mistico di Santa Caterina de’ Ricci di Subleyras, le collezioni della pittura del XVIII secolo degli Uffizi si arricchiscono di un altro capolavoro, il Mendicante moro di Giacomo Ceruti – afferma il direttore degli Uffizi Simone Verde – Un unicum assoluto, questo ritratto pieno di classica monumentalità che stravolge le convenzioni iconografiche del suo tempo e allarga i confini culturali di un secolo in cui si fa strada la modernità e si affermano i valori dell’uguaglianza”.
