di
Giuseppina Manin

Wilson ha inteso sempre il teatro come opera d’arte totale

E’ stato uno dei grandi innovatori del teatro del secondo Novecento. Bob Wilson, scomparso ieri a 83 anni, ha segnato un vero spartiacque nella concezione della messa scena. Memorabili restano titoli quali Einstein on the Beach (1976), opera di Philip Glass, Hamletmachine di Heiner Muller (1986), La Galigo (2004), dal poema epico indonesiano. Spettacoli di grande impatto visivo, segnati da eleganza formale e gestualità esasperatamente lenta, quasi ipnotica.
Uomo di teatro ma non solo, Wilson è stato un artista totale, regista, coreografo, performer, videoartista, scultore, mago della luce. E anche architetto, tratto basilare della sua concezione del palcoscenico, astratta e visionaria allo stesso tempo.
Nato il 4 ottobre 1941 a Wako, profondo Texas, negli anni ’20 una delle basi del Ku Klux Klan, cittadina ultraconservatrice proprio come la sua famiglia, padre avvocato, cacciatore, del tutto estraneo al mondo dell’arte, incapace di accettare quel figlio sensibile, gay e che pure balbettava. Un clima oppressivo in casa e anche a scuola, dove, raccontava lui stesso, andare a teatro era peccato.

Per la pace domestica, accetta di studiare economia all’Università, ma presto scappa a New York dove si iscrive a architettura e inizia a frequentare quel mondo della danza contemporanea, da George Balanchine a Merce Cunningham a Martha Graham, che tanto lo attira. L’essersi sentito a lungo diverso, lo spinge a dedicarsi alla terapia teatrale per ragazzi handicappati e allestire un balletto per pazienti costretti nel polmone d’acciaio.
Nel fatidico 1968 fonda la sperimentale Byrd Hoffman School of Byrds con cui realizza The King of Spain e The Life and Times of Sigmund Freud. Il successo internazionale arriva con l’opera di Glass coreografata da Lucinda Childs. Segue Deafman Glance, opera muta sul mondo dei sordi di cinque ore. Uno spot rispetto alle 12 ore di The Life and Times of Joseph Stalin, i sette giorni di KA MOUNTain and GUARDenia Terrace, allestito su una montagna in Iran.



















































Negli anni ’90 lavora sempre più in Europa, collabora con musicisti quali Tom Waits, David Byrne, John Cage, con scrittori come William Burroughs.
Alla Scala, 1987, la sua prima produzione è una Salome di impressionante impatto visivo con Montserrat Caballé vestita da Gianni Versace. Due anni dopo torna per Doktor Faustus di Manzoni, sempre costumi di Versace. Infine, tra il 2011 e 2015, la trilogia di Monteverdi Il ritorno di Ulisse in patria, Orfeo e L’incoronazione di Poppea.
Nel 2015 si cimenta a Roma in Adam’s Passion di Arvo Pärt, opera totale che unisce ballo, canto, luci, per raccontare la cacciata dall’Eden. L’iconico Mikhail Baryshnikov s sarà invece il protagonista di due suoo spettacoli, The Old Woman e Letter to a Man, dai Diari di Nijnsky
La sua versatilità artistica lo porta a creare allestimenti per importanti mostre d’arte e conquistare il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del ’93. Tra gli incontri più arditi, quello con Lady Gaga, per la quale firma il décor del suo spettacolo e poi la coinvolge in una serie di video ispirati a capolavori del Louvre sul tema della morte costringendola a restare ferma in piedi per un’intera giornata.
Le sue infinite provocazioni teatrali e artistiche hanno segnato l’immaginario di generazioni di spettatori, creando un suo marchio di fabbrica. Inconfondibile e inimitabile.

31 luglio 2025 ( modifica il 31 luglio 2025 | 21:12)