di
Roberta Merlin

Rovigo, i video della trentaduenne hanno un grande seguito: «Leggevo gli articoli sulla malattia e mi riconoscevo, i test mi hanno dato ragione»

Sui social ha scelto di raccontare la sua malattia genetica rara con un linguaggio unico, fatto di ironia e sincerità. Un modo per affrontare il dolore senza banalizzarlo, ma anzi per imparare a conviverci. Con oltre centomila follower, «La Cristina» – 32 anni, padovana di nascita e rodigina d’adozione – ha deciso di mettersi in gioco online per rompere l’isolamento che spesso circonda chi vive con una patologia poco conosciuta. Cristina ha scoperto da sola di avere la sindrome di Noonan: colpisce un neonato ogni 2.500 e, causa diversi sintomi. Tra i tanti effetti, interferisce con lo sviluppo e provoca problemi cardiaci.

«Mi dicevano: non sembri malata»

«Mi guardavo allo specchio e notavo particolari: la forma degli occhi, le orecchie con l’attaccatura bassa, la struttura del corpo. Leggendo articoli scientifici, mi riconoscevo in ogni descrizione. Così sono andata da un genetista dicendo: “Io ho la sindrome di Noonan”, e i test successivi mi hanno dato ragione». «Quando ho scoperto che la mia era una vera e propria malattia mi sono sentita sollevata – racconta –. Lo so che può sembrare strano, ma avevo passato tutta l’infanzia e l’adolescenza sentendomi diversa. Mi chiedevo: “Perché ho tutti questi sintomi e queste particolarità fisiche ?”, ma i medici rispondevano: “Eh, perché non siamo tutti uguali”. Poi, con il tempo le problematiche sono aumentate: i problemi alla vista con due distacchi di retina a 20 anni, il buio improvviso, la paura di non vedere più, gli interventi agli occhi. E, come se non bastasse, in tutta questa sofferenza, non sentirsi creduta. “Sei carina, sei in piedi, ti muovi, sembri normale. Non sembri ammalata”». Una frase che le dicono ancora adesso che la sindrome è conclamata: «Cosa si prova? Frustrazione e sofferenza. Lo sanno bene tutti i portatori di malattie genetiche rare e degenerative, che spesso non vengono creduti quando raccontano la loro sofferenza fisica quotidiana. Soprattutto quando quella patologia magari non ha ancora nemmeno un nome».



















































L’esposizione sui social

Esporsi pubblicamente per Cristina è stata una scelta consapevole.«La mia forma è relativamente lieve. Difficilmente chi soffre di questa sindrome riesce a condurre una vita “normale”, perciò ho deciso di raccontarla: per essere un punto di riferimento per le famiglie che si trovano a gestire una diagnosi simile. Molti genitori di bambini affetti dalla sindrome mi scrivono. Cerco di essere loro d’aiuto, anche se ammetto che certi giorni è difficile anche per me affrontare tanta sofferenza. Un dolore che conosco bene: ci sono cresciuta dentro, senza dargli un nome. Da piccola, subivo bullismo che mi faceva sentire sbagliata». Una voragine di dolore e indifferenza che l’ha portata a soffrire di disturbi alimentari e depressione. «Volevo solo farmi del male, sparire da questa terra. Dormivo in macchina, non avevo più voglia di vivere».

Un nuovo inizio

Nel 2020, l’intervento al cuore al Gallucci di Padova e la decisione di stabilirsi nel capoluogo polesano per cambiare vita. «Dopo l’operazione mi sono svegliata e mi sono detta: “Cavoli, sono viva”. E mi sono resa conto che, nonostante tutto, questa vita difficile vale la pena di essere vissuta. Ho deciso di farmi seguire dai medici. A Rovigo ho conosciuto nuovi amici, ma purtroppo non riesco a trovare un’occupazione a causa delle mie condizioni di salute. Certi giorni non riesco nemmeno ad alzarmi dal letto o a leggere i messaggi sul cellulare, a causa dei problemi alla vista». Ad un certo punto, l’idea di comunicare tramite i social. «In realtà – rivela – il mio percorso è iniziato nel 2012 su YouTube, spinta dal desiderio di trovare qualcuno che soffrisse della mia stessa malattia. Un modo per sentirmi meno sola. Non trovavo contenuti a riguardo, così ho iniziato a raccontare la mia esperienza. YouTube è diventato un po’ il mio terapeuta». Oggi è attiva su Instagram, Facebook, TikTok e YouTube, dove unisce comicità e consapevolezza, utilizzando spesso la simpatia del dialetto veneto.

«Mi difendo e mi racconto con ironia»

«Il mio stile è l’ironia – spiega –. Non chiamatemi influencer: creo contenuti leggeri, che mescolo a riflessioni più serie. In questo modo riesco a far arrivare messaggi importanti, ed è questo il mio obiettivo». I social, pur essendo di grande aiuto e con follower in costante aumento, non le permettono ancora di guadagnarsi da vivere. Spiegare cosa significhi convivere con una disabilità invisibile è spesso complicato. «C’è chi mi accusa di fingere, perché non mi vede sofferente perché sui social rido e scherzo – spiega –. Ma gli insulti non mi toccano più. Chi si espone sui social deve mettere in conto anche gli “odiatori“. Io continuo per la mia strada, non leggo i loro commenti». «Cosa vorrei nel mio futuro? semplicemente la serenità, economica e di salute. E voglio continuare a raccontarmi sui social per abbattere i pregiudizi e, magari, essere la voce di chi soffre come me, ma non viene creduto».


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10 novembre 2025 ( modifica il 10 novembre 2025 | 19:13)