Ci sono saghe che non smettono mai di evolversi, e Anno è una di quelle. Nata alla fine degli anni ’90, la serie di Ubisoft ha costruito negli anni un linguaggio tutto suo: la gestione come racconto, l’espansione come equilibrio tra ambizione e armonia. Ogni capitolo ha scelto un’epoca diversa per raccontare la stessa ossessione – quella per la crescita, per l’ordine, per la fragilità di ogni sistema umano. Dal Medioevo di Anno 1404 ai cieli del futuro di Anno 2205, passando per le rivoluzioni industriali e le esplorazioni oceaniche, ogni titolo ha reinventato il proprio tempo, trasformando la storia in una lente attraverso cui osservare noi stessi.

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Con Anno 117: Pax Romana, Ubisoft Mainz compie un gesto che somiglia a un ritorno alle origini, ma che in realtà è una rifondazione. Dopo aver esplorato il futuro e la modernità, la serie guarda al passato più remoto, al cuore dell’Impero romano, quando la civiltà si pensava eterna e la pace – quella Pax Romana che dà il titolo al gioco – era più illusione politica che condizione reale. È qui che il ciclo di Anno trova nuova linfa, unendo la ricostruzione storica all’introspezione gestionale, e riportando il giocatore non solo a costruire città, ma a comprendere il fragile meccanismo che le tiene in vita a forza di parametri e bisogni da soddisfare.

Il respiro dell’Impero

C’è qualcosa di profondamente umano nel tentativo di piegare la natura al proprio ordine. È la pulsione che muove la storia di Anno 117: Pax Romana, ma anche quella che attraversa da sempre la serie di Ubisoft Mainz: la ricerca di equilibrio tra l’espansione e la fragilità del mondo che costruiamo. Stavolta, però, l’impero non è un’astrazione di progresso industriale o una promessa di futuro: è Roma, nel suo massimo splendore e nella sua inevitabile decadenza.

L’idea di riportare la saga all’alba della civiltà occidentale ha un peso simbolico forte, quasi inevitabile dopo anni di esperimenti tecnologici non sempre apprezzati dal pubblico. Significa tornare alla radice della gestione, alla costruzione non solo di città ma di identità. Anno 117 ti mette nei sandali di un governatore romano chiamato a trasformare una provincia lontana in una gemma dell’Impero, ma anche a fare i conti con le diverse culture che la abitano, con le superstizioni locali e con le pressioni di un potere centrale che non tollera esitazioni. Non si tratta di dominare, ma di convivere. E nel mezzo, di sopravvivere.


osservare la crescita e l’espansione della propria creatura è appagante.

Ubisoft Mainz ha costruito due linee narrative principali che si intrecciano, impersonate da Lucia e Quintus, personaggi che incarnano visioni opposte di Roma: l’una più idealista, attenta al compromesso e all’integrazione; l’altro pragmatico, fedele alla tradizione e al rigore dell’Impero. Le loro storie compongono una campagna in cui si alternano dialoghi politici, scelte morali e missioni di sviluppo urbano capaci di modificare la percezione dell’Impero stesso. Non c’è un solo protagonista, ma due facce di una stessa civiltà in bilico: quella che costruisce e quella che domina. La campagna è una sorta di pretesto per motivare scenari di gioco e missioni via via differenti, come quando bisogna trovare e scortare un VIP con la propria nave; da un punto di vista delle situazioni svolge il suo compito, sebbene la struttura narrativa risulti fiacca e perda di mordente dopo qualche ora di gioco.

La rivoluzione silenziosa di Anno 117

L’intuizione di Ubisoft Mainz è quella di non limitarsi a una trasposizione estetica: non basta vestire di colonne e anfiteatri un sistema rodato. Tutto, in Pax Romana, respira diversamente, a partire dalle basi, dalla costruzione urbana. Le strade non seguono più solo la logica degli angoli retti, ogni cella della griglia è suddivisa in quattro micro-unità, permettendo la creazione di arterie diagonali e tracciati più naturali. Non è una semplice variazione estetica, è un cambiamento strutturale: ora è possibile far serpeggiare un viale lungo un pendio, collegare due quartieri con un arco obliquo o creare piazze asimmetriche che seguono la topografia.

Persino la connessione tra un edificio e una strada non richiede più contatto pieno – basta che un angolo tocchi la via, e la costruzione è riconosciuta come parte del tessuto urbano. È una libertà architettonica che restituisce umanità alla forma delle città: meno reticoli e più vita, meno matematica e più architettura. I centri abitati non si allineano più sulla rigida scacchiera dei capitoli precedenti, stavolta si dispongono in modo organico, morbido, seguendo le ondulazioni del terreno e le vie d’acqua. Le strade si piegano in diagonale, i quartieri si adattano al declivio, e la disposizione di un mercato o di una fattoria può cambiare la produttività o la felicità di un intero distretto. È un passo verso la naturalezza, un ritorno alla logica topografica più che geometrica, che trasforma ogni colonia in un organismo vivo, cresciuto insieme al paesaggio più che sopra di esso.

Sostanzialmente, il cuore del gameplay resta quello classico, fondato sulla progressione per livelli di cittadini e sul soddisfacimento dei loro bisogni; ma la gestione non è mai banale: le filiere produttive si moltiplicano e stratificano, obbligando a pianificare con cura le risorse e le rotte commerciali, spesso tra isole lontane. Non esistono tempi imposti o penalità eccessive, il gioco permette di respirare, di correggere gli errori, di rimettere ordine dopo un crollo produttivo senza dover ricominciare da capo. Più in generale, rispetto ai capitoli recenti, la sensazione è che Anno 117 torni al linguaggio adoperato da Anno 1800; dove un tempo il progresso era scandito da catene produttive lineari e da un’espansione quasi automatica, ora ogni gesto ha un peso politico e culturale. La nuova struttura dell’albero delle scoperte, più fluida e ramificata, sostituisce la rigidità tecnologica con scelte che riflettono la filosofia del proprio dominio: la prosperità economica può scontrarsi con la coesione sociale, la fedeltà a Roma con l’autonomia culturale. Anche la gestione dei territori cambia volto – abbiamo vere e proprie province con identità, clima e risorse proprie, legate da rotte commerciali che evocano la vastità dell’Impero.

Perfino la religione, per la prima volta in assoluto, diventa meccanica di governo: un tempio può unire o dividere, un culto può stabilizzare una città o innescare tensioni silenziose; è il segno più evidente di un cambio di prospettiva: non si costruisce più soltanto per crescere, ma anche per comprendere. Da un punto di vista dello spessore, il nuovo capitolo trae beneficio dal nuovo sistema di specialisti che aggiunge profondità senza appesantire. Non sono più semplici bonus statistici bensì figure con personalità, relazioni e ideali: un architetto che privilegia la bellezza rispetto alla funzionalità, un mercante che favorisce la corruzione, un ingegnere militare che spinge verso la conquista. La loro presenza influenza non solo l’efficienza della città ma anche le sue tensioni interne, creando un sottotesto sociale che arricchisce ogni decisione.


la gestione bellica è in linea con lo spirito della serie Anno.

A proposito di conquista, fa il suo debutto una componente militare; non un sistema di battaglie complesse, meglio chiarirlo, ma uno strato gestionale aggiuntivo che mette alla prova le risorse economiche e la logistica. Produrre equipaggiamenti, mantenere le truppe e sostenere l’apparato bellico richiede la stessa pianificazione con cui si alimenta una città. È una guerra di bilanci, non di tattiche, e rappresenta una sfida – opzionale – ulteriore per chi necessita nuovi stimoli. Tutte queste piccole e grandi novità si sentono, una volta iniziata una partita; la differenza si avverte sin dai primi minuti, a prescindere dalla scelta iniziale – più estetica che altro – tra Marcus e Marcia, l’alter ego con cui si affronta la Campagna (nell’altra modalità disponibile, Sandbox, potremo selezionare altri Governatori e, avanzando nel gioco, potremo anche sbloccarne di nuovi oltre ad altri contenuti in game).

Avviando il single player ci si ritrova a gestire un’isola in Latium, la terra madre, dove tutto è armonia: il sole accarezza le tegole, le campagne brulicano di attività, i cittadini si accontentano di pane e vino e l’eco di Roma arriva come un’ombra lontana, un ordine da rispettare ma non ancora da temere. Albion, invece, l’altro atto della campagna, è decisamente un mondo diverso: paludi, nebbie, venti freddi che sferzano i tetti di paglia. Qui le popolazioni locali non si piegano facilmente, e l’Impero diventa un’idea fragile, brumosa, un equilibrio di paura e convenienza. Il gioco costruisce questa dualità con una delicatezza inaspettata, senza bisogno di troppe parole: basta osservare le differenze tra le risorse, i bisogni, i rituali per capire quanto l’illusione della “pace romana” sia in realtà un equilibrio precario.

L’arte della gestione e della politica

Anno 117 conserva quella tensione gestionale che da sempre alimenta la serie. Le catene produttive tornano a essere il cuore pulsante dell’esperienza, ma sono filtrate da una nuova logica d’influenza. Ogni edificio genera un campo d’effetto che può stimolare o penalizzare gli spazi circostanti: un’officina troppo vicina alle case riduce la felicità, un santuario posizionato con cura può aumentare la lealtà o la produttività. È un sistema sottile, che invita a ragionare non più solo in termini di efficienza logistica ma di armonia sociale. L’urbanistica non è più un puzzle da risolvere, ma una forma di mediazione politica. Un puzzle già visto altrove, a conti fatti, ma che qui trova terreno fertile.


albion è molto diversa da latium, e non si tratta soltanto del panorama.

Ed è proprio nella politica che Pax Romana tenta la sua evoluzione più profonda. L’Impero non è più un’entità statica, ma un interlocutore costante; Roma osserva, giudica, premia e punisce. Le decisioni del giocatore – sostenere un culto locale, favorire i commerci con i barbari, assecondare o sfidare il governatore supremo – influenzano la reputazione e il destino stesso della provincia. Si può essere un amministratore fedele o un ribelle silenzioso, un pragmatista o un idealista: ogni scelta definisce il tono del proprio dominio. Il sistema politico culmina nella Hall of Fame, una cronologia dinamica che archivia le gesta di ogni campagna: edifici simbolo, scelte morali, catene produttive perfezionate, persino disastri o carestie. È una memoria vivente dell’Impero, che trasforma ogni partita in parte di una grande storia condivisa, anche quelle online.

Qui bisogna aprire una parentesi sul multiplayer, con modalità cooperative e/o competitive (contro altri giocatori a patto che siano nella lista amici, IA o un mix di entrambi) che permettono di fondare province insieme o sfidarsi per l’influenza commerciale, con supporto cross-platform e salvataggi condivisi in tempo reale. In cooperativa, più giocatori possono gestire lo stesso insediamento, dividendo compiti e responsabilità, ma con tempi dilatati (non si può velocizzare il tempo di gioco, e nelle fasi avanzate il ritmo ne risente). Una chicca non da poco in ottica longevità, ma che presenta diversi aspetti da bilanciare meglio probabilmente.

Forma e sostanza

Torniamo al gioco e alla questione politica, un’inclinazione che si riflette anche nella gestione religiosa e culturale. I culti locali non sono più semplici decorazioni, ma strumenti di coesione o di conflitto. A volte la fede in Giove garantisce prestigio a Roma, ma un altare a una divinità celtica può conquistare il rispetto degli autoctoni. È un linguaggio simbolico che permea ogni scelta, e che contribuisce a dare al mondo di Anno 117 una densità gustosa.


il livello di dettaglio è notevole.

Sul piano tecnico, il lavoro di Mainz convince. Le città sono un bel vedere, brulicanti di vita, con una luce mediterranea che cambia tono tra le province e una direzione artistica capace di bilanciare monumentalità e intimità. Gli edifici si fondono con il terreno, i fiumi scorrono placidi o impetuosi a seconda del clima, e il tutto restituisce un senso di continuità naturale che nei precedenti capitoli era spesso sacrificato all’ordine meccanico della simulazione. Anche l’interfaccia si fa più sobria, meno invadente, con un’impostazione che valorizza il paesaggio invece di coprirlo sfruttando miglioramenti tangibili: i menu di costruzione e le finestre che mostrano le statistiche e le scelte tecnologiche sono più pulite e leggibili, con indicatori visivi che chiariscono le connessioni tra edifici, strade e zone d’influenza.

Ci sono però momenti in cui l’ambizione di Pax Romana rischia di trasformarsi in fardello. La gestione multilivello tra politica, cultura, economia e infrastrutture può apparire opprimente, specie quando la città cresce oltre le prime soglie e il gioco chiede di conciliare decine di variabili. Non tutto scorre con la fluidità promessa: le interazioni con Roma, a tratti, mancano di profondità, e alcune catene produttive avanzate richiedono un’attenzione quasi ossessiva per mantenere un ritmo sostenibile. Si ha l’impressione che il motore delle idee superi a volte la precisione del bilanciamento. C’è anche un’altra ombra, più tecnica: l’ottimizzazione: le città più grandi possono mettere a dura prova l’hardware, e qualche incertezza nel frame rate è pronta a testimoniarlo. Nulla che rovini l’esperienza, intendiamoci, ma abbastanza per ricordarci che la bellezza, quando è così minuziosa, ha sempre un prezzo.

L’eredità della civiltà

Nonostante ciò e, come detto, una campagna narrativamente non entusiasmante, Anno 117: Pax Romana riesce a farsi apprezzare. Si tratta di un ritorno alle origini e insieme una reinvenzione, di un gestionale che parla di potere e di equilibrio, di conquista e di ascolto, di ordine imposto e caos naturale. C’è una malinconia sottile che attraversa ogni mappa, come se il gioco stesso fosse consapevole della fragilità dell’Impero che celebra. Ed è forse questa la sua qualità più preziosa: la capacità di raccontare la civiltà non solo come trionfo, ma come tensione costante tra ciò che costruiamo e ciò che inevitabilmente sfugge al nostro controllo.

Ubisoft Mainz porta la storica serie nel cuore dell’Impero romano, costruendo un’esperienza che fonde la meraviglia dell’antichità con la complessità politica del potere. Con un salto nel passato audace ma indovinato, il nuovo episodio ci invita a governare province lontane come Latium e Albion, bilanciando cultura, economia, religione e lealtà verso Roma in un mosaico di influenze, tensioni e scelte morali mai complesso come oggi. Non è rivoluzione vera e propria, è più un ritorno alle origini e insieme una rifondazione. Verosimilmente, i fan della serie si divertiranno non poco con un capitolo che parla di civiltà, armonia e controllo tanto quanto di fragilità e decadenza.

In un’epoca in cui molti city builder si limitano a perfezionare formule collaudate da altri, Anno 117 si permette di tornare indietro per andare avanti, un paradosso che sa di scommessa vincente. Il risultato infatti è un’esperienza lenta, contemplativa, a tratti imperfetta ma viva, capace di regalare soddisfazioni mentre creiamo il nostro personale Impero e, al tempo stesso, di farci riflettere sul potere, sulla bellezza e sulla fragilità dell’ordine chiamato civiltà.

MODUS OPERANDI
Ho giocato ad Anno 117: Pax Romana su PC grazie a un codice fornito gentilmente dal publisher, con una build finale che mi ha tenuto impegnato per una ventina di ore tra campagna e sessioni sandbox di varia natura. Qualche bug – grafico per lo più, o legato alla componente online – si è visto, a onor del vero, ma può darsi che al day one o subito dopo la pubblicazione i problemi vengano risolti. Il gioco uscirà su PC, PlayStation 5 e Xbox Series X|S.

Anno 117: Pax Romana è la sintesi – quasi – perfetta tra tradizione, nello specifico quella apprezzata di Anno 1800, e rinnovamento. Con ritocchi e aggiunte intelligenti che non stravolgono le basi né i punti di forza della struttura portante, Ubisoft Mainz reinterpreta il cuore della serie con una sensibilità apprezzabile, trasformando la gestione urbana in un racconto di equilibrio e decadenza. Qualche incertezza tecnica, una narrazione così così e altre ruvidezze sparse non ne scalfiscono il valore complessivo di un city builder solido e raffinato, adatto anche a chi non è pratico del genere grazie a un’interfaccia ben congegnata, stratificato e umano, che farà felici i fan del franchise. Il passato, in questo caso, è la via più diretta per il futuro.