Yesterday, dicono i Beatles. Nostalgia Canaglia, risponde Albano. L’obiettivo è chiaro: un viaggio sul viale dei ricordi, tra la malinconia e la dolcezza dei tempi che furono. Un’ondata sentimentale che l’industria dell’intrattenimento videoludico ha imparato a cavalcare per bene nel corso degli ultimi anni, proponendo un numero sempre maggiore di rifacimenti e rimasterizzazioni. Un irresistibile richiamo al quale nemmeno THQ Nordic ha saputo resistere, rispolverando dall’album dei ricordi niente popò di meno che la remaster di Sacred 2: Fallen Angel. Al tempo della sua pubblicazione – parliamo del 2008 – il gioco uscì tempestato di bug e problemi tecnici.

Per quanto generalmente riconosciuto come un passo indietro rispetto all’episodio precedente, lo zoccolo duro della fanbase si prodigò per ripulire Sacred 2 dalle sue numerose magagne. Avvalendosi di queste correzioni e aggiungendoci sopra una serie di miglioramenti estetici e funzionali, Sacred 2 Remaster si presenta in grande spolvero alle soglie del 2026, nella sua forma migliore. O forse no…

Restauro invisibile

Ahinoi, ciò che salta subito all’occhio è quanto poco la grafica si discosti dalla versione Gold di Sacred 2, gentilmente inclusa nell’acquisto della remaster. Diciassette anni sono un tempo enorme e, proprio per questo, abbiamo approfittato dell’occasione per un confronto diretto, restando stupiti nel constatare quanto le migliorie risultino minime, se non addirittura peggiorative in alcuni casi. Il sistema d’illuminazione, per esempio, aggiornato per generare luci e ombre più raffinate, tende a far sbiadire eccessivamente la proiezione di queste ultime, appiattendo i numerosi scenari che compongono la regione di Ancaria.

Gli alberi e la vegetazione in generale sono gli elementi che risentono maggiormente di questa scelta. Una tendenza che colpisce anche la palette cromatica che, come un lavaggio in lavatrice programmato male, risulta meno satura e dunque meno “fumettosa” rispetto alla versione originale. Ripulite anche le texture, almeno secondo lo sviluppatore, perché nella realtà dei fatti non tutte sembrano essere passate sotto la lente della “chirurgia migliorativa”.

Se nel caso di esseri umani, bestie e, più in generale, di tutto ciò che si muove si nota un lieve passo avanti, lo stesso non si può dire per gli altri elementi di gioco, che mostrano una certa inconsistenza. Il grosso del lavoro è difatti svolto dall’MSAA che smussa l’immagine generale del titolo dandogli almeno quel sentore di pulizia che l’era del 4K pretende.

La trama in breveAmbientato duemila anni prima rispetto al primo capitolo, Sacred 2 ci riporta ad Ancaria: un mastodontico regno fantasy popolato da ogni sorta di creatura immaginabile. La potentissima Energia-T, donata dagli Alti Elfi ai Serafini, ha stravolto gli equilibri di potere tra le razze del mondo, spingendole a una sanguinosa lotta per accaparrarsene il controllo. Ma non solo: l’abuso sconsiderato dell’Energia-T sta corrompendo l’intero regno, con gravi conseguenze per l’ecosistema che lo sostiene. È su questa premessa che, dopo aver scelto uno fra i sette personaggi disponibili, prende il via la nostra avventura.

Le differenze più palpabili riguardano aspetti come l’aumento della distanza di visualizzazione della vegetazione e dei relativi effetti di sfocatura, ma si tratta comunque di migliorie piuttosto accessorie, considerando che il titolo – pur consentendo di posizionare la telecamera alle spalle del personaggio – si gioca principalmente con inquadratura isometrica dall’alto. In effetti, a un primo sguardo, per quanto riguarda gli aspetti puramente grafici è difficile capire cosa sia effettivamente cambiato. La sensazione è che qualche miglioramento ci sia, ma è talmente impercettibile che, se non fosse per la nuova interfaccia grafica, difficilmente qualcuno si accorgerebbe della versione a cui sta giocando.

Le modifiche più consistenti riguardano la UI, ora arricchita da testi in alta definizione e da un’interfaccia completamente ripensata per essere più “user friendly” (si fa per dire). Difatti, se oggi navigare tra le numerose schede che racchiudono la storia, le abilità e l’equipaggiamento del personaggio risulta più chiaro, questo non si traduce automaticamente in una maggiore comodità.

Dovranno tenerne conto soprattutto coloro che sceglieranno di trascorrere il proprio tempo ad Ancaria con un controller feature finora riservata alle versioni console. La mappatura dei tasti è stata infatti presa di peso dalle vecchie installazioni e inserita nella remaster senza alcuna forma di modernizzazione: se la pressione prolungata di un tasto per attaccare funziona tutt’ora egregiamente, lo stesso non si può dire per l’utilizzo delle abilità secondarie o per lo switch tra i vari set d’armi. Preservazione dell’opera originale o mancanza d’iniziativa?

Certo è che una ghiera di selezione avrebbe reso tutto più comodo. Ancora più macchinosa è la navigazione tra le finestre, che rende poco fluida la gestione dell’inventario e, soprattutto, le compravendite con i mercanti. Interagire con un fabbro per migliorare la propria attrezzatura, ad esempio, dà il via a una serie di scambi tutt’altro che intuitivi, al punto da costringerci a ricorrere al buon vecchio mouse per velocizzare il processo.

Ottimizzazione, bug e magagne

Come accennato in precedenza, Sacred 2 arrivò sul mercato con un gran quantitativo di bug, dovuti in gran parte ai numerosi ritardi e ai problemi riscontrati durante lo sviluppo. Furono i fan a doversi rimboccare le maniche per mettere una pezza alle lacune lasciate dagli autori, dando vita a una community patch che, nel corso di oltre dieci anni di contributi, ha appianato buona parte dei problemi di ottimizzazione del titolo. Un’operazione talmente fondamentale da essere inclusa, almeno in parte, anche in questa riedizione.

Non che tutto fili liscio, s’intende: per quanto il lavoro di pulizia renda l’esperienza generalmente stabile, anche la remaster non è stata risparmiata dalla maledizione dei bug che da quasi due decenni affliggono il titolo. Nella maggior parte dei casi parliamo di imperfezioni più o meno trascurabili: terreni che scompaiono, tracce audio che si sovrappongono, latenze nei comandi. Più fastidiosi, invece, quelli che impediscono di completare una missione, in questi casi riavviare il gioco di solito risolve il problema.

Decisamente meno tollerabili gli svariati crash che, per buona parte dell’avventura, hanno messo a dura prova la nostra pazienza: le interazioni con i mercanti, in particolare, sembrano essere un trigger ricorrente. Ci sarebbe poi tutto un capitolo da aprire sulla qualità dell’adattamento italiano. Se l’alternanza dei dialoghi tra italiano e inglese è un retaggio ereditato dalle vecchie versioni, ora anche i testi mostrano qualche incertezza.

Le incongruenze non mancano e riguardano soprattutto traduzioni letterali dall’inglese, come nel caso dei numerosi bauli disseminati per il regno, tradotti come “petto” a partire dall’originale chest. Al netto dei suoi problemi, ironicamente questa riproposizione rappresenta la versione migliore con cui riscoprire il titolo sui sistemi moderni – e, di fatto, l’unica disponibile per le console di ultima generazione.

Un’esperienza d’altri tempi

Parliamo innanzitutto di un action RPG dalle meccaniche dichiaratamente old school: un concentrato di sistemi che probabilmente farebbero impazzire metà dei giocatori moderni. A cominciare dalla forte componente RNG, con un sistema di hit chance – la probabilità di colpire un nemico durante gli scontri – che può diventare frustrante, soprattutto nelle battaglie contro i boss.

Se non si dispone di un personaggio sviluppato a dovere, alcuni combattimenti rischiano di trasformarsi in sfiancanti maratone contro avversari praticamente inscalfibili. Sotto questo punto di vista, il titolo non tende minimamente la mano all’utente.

L’assenza di un vero tutorial costringe a fare esperienza diretta sul campo per comprendere le numerose parametrie che regolano la sorte degli scontri. E gli elementi con cui prendere dimestichezza non sono affatto pochi: debolezze elementali, potenziamenti da applicare alle armi, rune da equipaggiare. Oggi un approccio simile verrebbe definito hardcore, ma all’epoca era considerato semplice amministrazione. E proprio com’era prassi a quei tempi, pervasi da un pizzico di quella “nostalgia canaglia” citata in apertura, quando una meccanica non ci era chiara siamo tornati a cercare risposte su vecchi e polverosi forum dedicati al gioco. D’altronde il titolo è letteralmente lo stesso, e i consigli di allora restano ancora perfettamente validi.

In compenso, Sacred 2 Remaster vanta ancora oggi un mondo di gioco sterminato, una mappa gargantuesca – tanto nel 2008 quanto nel 2025 – e una bulimia di contenuti capace di far impazzire gli amanti del completismo. Va fatto notare che il gioco arriva comprensivo dell’espansione Ice and Blood, che oltre ad aggiungere due nuove regioni introduce anche un settimo personaggio al roster di partenza.

Per darvi un’idea della quantità di attività, secondo il sito How Long To Beat, servono oltre 150 ore per completare tutte le attività secondarie, ma in rete non mancano testimonianze di utenti che ne hanno accumulate più di 600, soprattutto se si decide di ricominciare l’avventura cambiando personaggio e livello di difficoltà. Una mole che ricorda l’estensione di un MMORPG in miniatura, e che trova riscontro anche nella struttura del gioco stesso. Ad esasperare ulteriormente questo aspetto c’è la possibilità di affrontare l’intera campagna in cooperativa online; tuttavia, sulle nuove console è stata rimossa l’opzione per il multigiocatore locale e forse troverà posto in un secondo momento.

Sì, esiste una missione principale, solitamente completabile in una trentina di ore, ma finisce presto per passare in secondo piano rispetto alla quantità spropositata di side quest che spuntano come funghi in ogni angolo di Ancaria. Non che ci sia grande varietà, intendiamoci: è un vero e proprio festival delle fetch quest, dove si alternano richieste come “recupera 30 pelli di lupo”, “uccidi 20 orchi”, “accompagna mio marito alla grotta”, ecc..

Una ripetizione che, sotto un certo punto di vista, diventa quasi catartica: spegni il cervello e lasci che il gioco scorra. Quasi un precursore dei cozy game, dove mentre si trucidano centinaia di mob senza soluzione di continuità è possibile far scorrere in sottofondo la propria musica o serie preferita. Un’avventura che si trasforma in un mantra rilassante, ben distante dai ritmi incessanti delle più recenti incarnazioni di Diablo o Path of Exile.

Proprio da questo punto di vista, Sacred 2 Remaster rimane qualcosa di unico: un gioco che difficilmente trova equivalenti nell’attuale panorama moderno.
La domanda è: diverte? Se ci trovassimo a dover rispondere con le spalle al muro diremmo che “divertente” forse non è il termine più azzeccato. Anche perché la totalità degli incarichi ci viene affidata attraverso granitici wall of text che nel giro di qualche ora ignoreremo completamente. Ma è innegabile che per una certa nicchia di giocatori Sacred 2 possa rappresentare una sorta di peccaminoso dirty pleasure.

È chiaro però che si tratta di un titolo vecchio nelle sue fondamenta: un’esperienza poco appetibile per la maggior parte dei giocatori contemporanei, se non per una piccola nicchia di nostalgici o curiosi del retrogaming. La forte componente RNG, le meccaniche nascoste e la totale assenza di tutorial o indicazioni rendono il tutto volutamente ostico, spesso persino criptico. E se da un lato questo contribuisce al fascino retrò del progetto, dall’altro spiega bene perché Sacred 2 Remaster resti un’esperienza più di conservazione che di riscoperta.