di
Guido Olimpio e Marta Serafini

Secondo alcune fonti, una parte degli uomini asserragliati sarebbe già morta di fame per l’esaurimento delle provviste

DALLA NOSTRA INVIATA
GERUSALEMME – La chiave di tutto, ancora una volta: i tunnel. «La metropolitana à la Gaza» è stata al centro degli attacchi israeliani sin dall’inizio dell’offensiva dell’autunno 2023. E ora è perno della fase di negoziato che, nelle speranze della Casa Bianca, dovrebbe permettere di passare alla seconda fase del piano in 20 punti. L’idea è che Israele permetta ai circa 150 miliziani di Hamas intrappolati sotto la Striscia di lasciare la zona in sicurezza in cambio del disarmo del gruppo. Molti però i nodi da sciogliere.

Fonti israeliane e arabe confermano che ci sono ancora centinaia di miliziani di Hamas nascosti nella rete di tunnel al di là della «yellow line», la linea di demarcazione che separa la metà occidentale della Striscia, sotto il controllo di Hamas, dalla metà orientale, sotto il controllo dei soldati israeliani.



















































Il grosso sarebbe a Rafah, ma ci sarebbero altre squadre sotto Khan Younis, sempre nel sud, e sotto Beit Hanoun e Shujaiyya, nella parte settentrionale della Striscia. Israele ha sempre saputo che i tunnel sono una delle armi migliori a disposizione del nemico ma ha dati parziali sulla loro reale estensione. Prima del cessate il fuoco la gran parte degli attacchi più letali è stata condotta dai miliziani attraverso questi passaggi, con punti di uscita a pochi metri dalle postazioni dell’esercito. Hamas, d’altro canto, li ha decantati come una rete immensa mescolando realtà e propaganda. L’Idf e la parte più oltranzista del governo hanno da parte loro rilanciato la versione dell’avversario per ribadire che la loro distruzione è indispensabile se si vuole andare avanti con il piano Trump.

Nei 20 punti voluti dalla Casa Bianca, sui tunnel però non ci sono indicazioni. Una delle possibilità è che i miliziani consegnino le loro armi e poi ricevano un salvacondotto per spostarsi in un Paese terzo oppure nelle aree della Striscia ancora sotto il controllo di Hamas, a ovest della «yellow line». La Croce Rossa internazionale, così come è stata coinvolta nella liberazione di ostaggi e prigionieri e nella restituzione dei corpi, potrebbe giocare un ruolo nelle procedure di uscita dei miliziani dalla Striscia. Secondo alcune fonti, parte degli uomini asserragliati sarebbe già morta di fame perché le provviste sarebbero finite. Per altri osservatori hanno scorte e rifornimenti e se hanno cibo dall’esterno, allora ricevono anche ordini. Una teoria. Ma supportata dal fatto che questi rifugi, per Hamas, non sono mai stati un ripiego bensì una componente difensiva/offensiva elaborata negli anni, con una combinazione di strutture più semplici e altre in cemento, usate per altro come prigioni per gli ostaggi.

Già prima del cessate il fuoco Hamas ha avvertito: chi è asserragliato potrebbe affrontare le truppe israeliane invece che morire di fame o consegnarsi agli israeliani. E così sarebbe successo in almeno due diverse occasioni il mese scorso: alcuni miliziani sono riemersi dai cunicoli e avrebbero sparato contro i soldati israeliani uccidendoli, facendosi uccidere a loro volta piuttosto che essere catturati vivi.

Nel grande gioco diplomatico, dove i mediatori trattano ma puntano anche a ritagliarsi spazi di influenza, i tunnel sono una buona carta da giocare. I cunicoli sono nati inizialmente per il contrabbando al confine con l’Egitto, e solo in seguito sono diventati parte dell’arsenale di Hamas. Nelle ultime settimane Israele ha enfatizzato il pericolo di traffici dal territorio egiziano e ha diffuso molte immagini di armi intercettate, con una novità: invece che arrivare via sottoterra il carico è stato spedito via aria con i droni. In ogni caso Il Cairo, in passato, ha impiegato le maniere forti per ridurre la minaccia delle gallerie. Interventi, però, parziali. La Turchia, a sua volta, si è offerta di trovare una via d’uscita per i combattenti assediati. Ma si tratta sicuramente di un’opzione che al governo Netanyahu non piace. 

10 novembre 2025