La sanità dell’Emilia-Romagna è sotto pressione, ma il problema non è la mobilità sanitaria in senso assoluto. A mettere in crisi il sistema è, piuttosto, quella che la direttrice generale del Policlinico Sant’Orsola, Chiara Gibertoni, definisce “mobilità canaglia”, la migrazione di pazienti, in prevalenza dal Sud, che arrivano per cure di bassa complessità, intasando le liste d’attesa locali. Lo riferisce la Dire. 

Le riflessioni seguono alle dichiarazioni del presidente della Regione, Michele de Pascale, sulle difficoltà per L’Emilia-Romagna a curare tanti pazienti che provengono da fuori regione. 

“Reclutati con la libera professione”

Per Gibertoni, il fenomeno più “censurabile” sono le modalità: ”Questi pazienti vengono reclutati attraverso attività libero-professionale individuale nelle regioni del Sud e poi vengano inseriti in lista d’attesa istituzionale, andando in qualche modo a depauperare la regione di provenienza”.

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Questa “mobilità canaglia” andrebbe anche a pescare pazienti “che hanno patologie sulle quali si può avere una soluzione anche di prossimità”. La conseguenza è un sovraccarico, nonostante la sanità di alta complessità resti un diritto.

Tra eccellenze e primati: nei migliori reparti degli ospedali pubblici di Bologna“Le tariffe non coprono i costi”

Il Sant’Orsola è un punto di riferimento nazionale. I ricoveri di pazienti da altre regioni rappresentano circa il 20% del totale, ma sono tutti legati a patologie di alta complessità (oncologia, trapianti). Per le prestazioni ambulatoriali, invece, la quota è ferma al 3-4%, e per la bassa complessità è “praticamente zero”. Il problema, in questo caso, è di natura economica. Le tariffe di scambio tra regioni non coprono i costi reali delle cure più avanzate: “Nel 2024, abbiamo installato 12 cuori artificiali e, di questi, nove erano per pazienti di fuori regione,” spiega Gibertoni. “Il problema è che la tariffa di scambio non copre neanche il costo del dispositivo”. Un solo cuore artificiale al Policlinico costa 100.000 euro, mentre il rimborso totale per l’episodio di ricovero arriva a soli 66.000 euro. 

“Servono accordi e programmazione”

Sia Gibertoni che la direttrice generale dell’Ausl di Bologna, Anna Maria Petrini, concordano sulla necessità di un intervento centrale. Per l’Ausl di Bologna, la mobilità extra-regione si attesta intorno al 7%, concentrata soprattutto sulle neuroscienze Irccs. Anche Petrini, tuttavia, evidenzia la “pressione forte su una dimensione rilevante, anche da un punto di vista quantitativo, che è quella della medio-bassa complessità”.

La soluzione, secondo le due manager, non può essere solo uno scambio economico: “Su questo tema occorre agire con una forma di governo che non può essere solo quella dei tetti, ma deve essere concordata con la Regione di provenienza”, afferma Gibertoni.

Petrini rincara la dose: “Sicuramente ci vuole una regolamentazione dei flussi e una gestione di livello nazionale”. L’obiettivo è duplice: garantire la cura complessa senza “depredare il territorio della casistica più semplice” e assicurare che la risposta di primo livello sia garantita “sul proprio territorio, cercando di dare sempre il livello qualitativo maggiore”.

Lepore VS. Lega: “L’autonomia divide”

Anche il sindaco, Matteo Lepore, ha ribadito la necessità “di ridurre le liste d’attesa fino ad azzerarle”, ma attacca anche la Lega: “È inutile che in questo momento facciano tanto gli ‘spanizzi’, come si dice dalle nostre parti (eccessivamente sicuri di sé), perché la risoluzione di questo problema non è maggiore autonomia dei territori, ma è il sistema sanitario nazionale,” tuona.

Secondo il primo cittadino, se non si garantisce una “sanità robusta a livello nazionale, con finanziamenti nazionali che riducono le disuguaglianze”, l’unica prospettiva è la deriva verso le assicurazioni private e le strutture private, costringendo i cittadini a “scappare in altre regioni per potersi curare”.

Questa, conclude, può essere una “battaglia che unisce l’Italia”. “Dividere nord e sud è la proposta della Lega, noi invece vogliamo unire nord e sud. E Bologna è al centro di questo”, conclude, ricordando che il 70% dei bolognesi non è originario della città.

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