di
Federica Gabrieli
Treviso, Anwar Thamri ha un laboratorio nei boschi sulle Colline del Prosecco: produce al massimo un coltello al giorno. «Il coltello perfetto non l’ho fatto ma ce l’ho in testa. Ha un manico in ottone, sembra un meteorite»
«Volevo costruirmi un coltello per andare in montagna. Non ne trovavo uno che mi convincesse, così ho deciso di farmelo da solo. Da lì non mi sono più fermato». Così inizia l’avventura di Anwar Thamri, classe 1995, artigiano delle lame con il laboratorio nascosto tra i boschi di Valdobbiadene, sulle colline del Prosecco. Un coltellinaio moderno, solitario e un po’ filosofo, che ha trasformato una necessità in vocazione. Oggi le sue creazioni, interamente fatte a mano e vendute sotto il marchio Atknife, hanno conquistato chef del calibro di Carlo Cracco, Giorgio Locatelli e altri nomi del panorama gourmet. Nonostante i riflettori, Anwar non ha cambiato approccio: un coltello al giorno, fatto con pazienza, ascolto e tanta testardaggine. Prezzo minimo: 300 euro. I più elaborati superano i 1.000. «Ma valgono ogni taglio» sorride.
La collaborazione artistica con Cracco
La storia con Cracco comincia in velocità. Un ristoratore di Valdobbiadene, amico di Anwar, gli chiede un coltello da mostrare allo chef in visita. «Ne ho preparato uno in un giorno: trinciante classico con lama da 18 cm e un pesce inciso. Dopo due settimane Cracco mi ha chiamato: voleva saperne di più e ordinarne un secondo, più piccolo. Sono andato a Milano a portarglielo di persona». Nasce così una collaborazione che sfiora l’arte. «Abbiamo parlato di un set di coltelli da tavola, uno per ogni portata. Mi ha anche invitato a cena, e che cena sarebbe stata! Ma avevo un treno da prendere e ho dovuto rifiutare». Qualche giorno dopo, però, una colomba firmata Cracco è arrivata direttamente a casa sua: «Un regalo inaspettato. Stellato, letteralmente».
L’incontro con Giorgio Locatelli
Con Giorgio Locatelli, l’incontro è più indiretto ma ricco di soddisfazioni. Il contatto arriva grazie a Gilberto, ex concorrente di MasterChef, che dopo la trasmissione lavora nel ristorante di Locatelli a Londra. «Mi ordinò alcuni coltelli da tavola. Gliene mandai un paio in più, per Locatelli: uno classico, con manico in legno, e l’altro in acciaio forgiato grezzo, lasciato nero». Pochi giorni dopo, Locatelli in persona lo chiama per ringraziarlo. «Mi disse che li aveva apprezzati molto. Quella telefonata per me è stato uno dei momenti più belli del mio percorso».
Le richieste degli chef
Cosa cercano gli chef nei suoi coltelli? «Personalizzazione. Li creiamo insieme, in base al piatto. Ogni dettaglio è su misura: forma, curva, bilanciamento. Spesso mi danno carta bianca. Più che clienti, diventano amici». Così è stato anche con Dino Perrone, chef pugliese, che ha trascorso una giornata nel laboratorio di Anwar. «Mi ha lasciato spazio creativo totale. Un bellissimo scambio». Oppure con Francesco Arena, chef di Rimini: «Quando sono andato da lui ho mangiato di tutto. E io, ovviamente, ho affilato».
Il coltello perfetto
Oggi Anwar lavora in un laboratorio più grande, costruito da solo. «Sono partito dal garage di casa, poi un piccolo spazio, ora ho la montagna dietro. Il bosco mi ispira». Il suo ritmo è rimasto lo stesso: un coltello al giorno, nessuna produzione in serie. «L’affilatura è la parte sacra. Ultimo passaggio, ma se sbagli, si ricomincia da capo». Ogni pezzo ha una sua identità. Lame grezze, funzionali, curate nei minimi dettagli. «Uso due tipi di acciaio che conosco benissimo. I legni? Mi parlano. A volte mi basta una foto per capire se funzioneranno».
Anwar si definisce autodidatta: niente corsi, solo osservazione, tentativi, ascolto. «All’inizio volevo ispirarmi ai coltelli giapponesi. Ma poi ho trovato una mia via, tra cultura orientale e occidentale. Un mix che mi rappresenta». E nel cassetto dei sogni c’è ancora un progetto: «Il coltello perfetto non l’ho fatto. Ce l’ho in testa. Ha un manico in ottone fuso, sembra un meteorite. È grezzo ma elegante. Arriverà».
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10 novembre 2025
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