Il singolo «Oro e rosa» della cantante anticipa l’uscita dell’album (dallo stesso titolo) in arrivo venerdì
Per Irene Grandi il passaggio tra quello che è stato e quello che sarà ha i colori dell’alba e del tramonto: «Oro e rosa», come il titolo del suo nuovo album.
È più tipo da alba o da tramonto?
«Sono ancora più da tramonto, nonostante aspiri all’alba. Perché va sempre a finire che faccio le ore piccole, quindi non ce la fo a tirarmi su. Però mi rendo conto dell’energia che si respira all’alba. Di sicuro mi appartiene questa luce di trasformazione: mi piaceva l’idea che gli stessi colori siano simboli sia del lasciare sia del rinascere».
Momenti di passaggio che si ritrovano nel disco.
«C’era il desiderio di ricerca di quel momento sospeso tra la fine di qualcosa e la nascita di qualcos’altro. È il momento del seme che contiene già la vita, ma è in potenza. Ho voluto raccontare quell’attimo in cui tutto sta per succedere, che è difficile perché è un momento di vuoto».
Sei anni dal precedente album, un periodo lungo.
«È stato un momento di vuoto, l’ho descritto perché l’ho vissuto. E di grande trasformazione. È iniziato nel 2020, col Covid: sono cambiate alcune cose, alcune priorità, alcune persone che erano punti di riferimento e con cui abbiamo deciso di prendere strade nuove e di separarci. Ci sono state delle rotture, anche nella mia vita personale (il divorzio dal secondo marito Lorenzo Doni, ndr). Ho cambiato agenzia, manager, direttore musicale… Quest’anno ho pure cambiato casa: anche quello è un simbolo. Nel disco c’è un pezzo che appunto si chiama “Traslochi dell’anima”».
Il successo a 25 anni: è stato difficile da gestire?
«In tre giorni sono passata da zero a mille, con il mio primo Sanremo. La notorietà ti sconvolge la vita, c’erano delle cose che non facevo più perché mi sentivo assalita. Faceva parte del gioco, però non era facile. Un altro momento difficile è stato nel 2010 quando, dopo tanti anni senza fermarmi, sentii tutta insieme la stanchezza e che certi rapporti importanti, anche lì, stavano finendo».
«Colorado» con Carmen Consoli ricorda il viaggio di Thelma e Louise.
«Il viaggio è l’emblema della trasformazione. Io ho viaggiato molto da sola negli ultimi anni: dovevo andare d’accordo con me, e non sempre è facile. Mi piaceva l’idea di trovare una compagna come Carmen, che ha lavorato molto sulla sua libertà espressiva. Amo questo incoraggiamento tra due donne che si sentono un po’ diverse, non nella via principale dove stanno tutti, ma che provano a fare strade secondarie e a trovare la loro via in modo più fantasioso».
Nel 2020 l’ultimo Sanremo. È un’esperienza da ripetere?
«Visto che il disco ha avuto una gestazione lunga, inframezzata dal tour di “Fiera di me”, ho preferito raccogliere quello che avevo costruito senza dare a Sanremo tutto il potere, perché il festival spazza via tutto. Però non è che lo escluda in futuro».
Uno dei suoi successi, «Bruci la città», era stato scartato…
«Con quella vincevo, perché era avanti! Sanremo ultimamente mi sembra più un contenitore televisivo che di musica. Le canzoni devono stare bene una con l’altra per creare un grande show unico, ma noi musicisti non siamo tutti uguali. C’è omologazione, sia nella scelta sia nella produzione. Anche quelli come me fanno canzoni da ragazzo: non sono loro che portano la loro musica ma è Sanremo che li condiziona».
11 novembre 2025
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