Dopo l’intervento per un tumore al seno, molte donne si trovano ad affrontare un nuovo percorso: la terapia ormonale. Ma non sempre è facile portarlo a termine. Secondo uno studio condotto da Emg Different, tra il 30 e il 50% delle pazienti interrompono il trattamento prima del previsto, scoraggiate dagli effetti collaterali e dalla lunga durata delle cure. Il dottor Antonino Musolino, direttore del servizio di Oncologia medica a indirizzo senologico e dei tumori genitali femminili dell’Irst di Meldola, traccia il quadro della situazione nel contesto locale.

Musolino, in quali casi si ricorre alle terapie ormonali?

“Questi trattamenti vengono prescritti alle donne operate per tumore al seno con recettori ormonali positivi, in fase precoce di malattia e senza metastasi. In questi casi, la terapia ormonale ha un ruolo preventivo e, storicamente, questo tipo di cure presentano un rischio di abbandono maggiore rispetto a quelle curative”.

Perché?

“Uno dei motivi principali della ridotta adesione è che spesso non viene compreso appieno il valore di questi trattamenti. La paziente può interpretare la terapia come qualcosa di ‘non necessario’, dato che il tumore è già stato rimosso. Questi farmaci sono scientificamente efficaci nel ridurre il rischio di recidive. Sono paragonabili a una ‘assicurazione sulla propria salute’. Non è semplice farlo comprendere a una donna che si sente guarita e si trova, invece, a dover assumere un medicinale, spesso per oltre cinque anni. Più il trattamento è lungo, più si rischia che la paziente lo abbandoni”.

Quali sono i principali disturbi che spingono le malate a interrompere le cure?

“Tra i più comuni ci sono le vampate di calore, i disturbi della sfera sessuale, dolori articolari, l’aumento di peso e un rischio più alto di osteoporosi. Di fatto, si induce una ‘super menopausa’, poiché viene bloccata la produzione di estrogeni. È importante che questi sintomi vengano gestiti insieme al medico, nel corso dei controlli periodici”.

A livello locale, quanto è diffuso il fenomeno dell’abbandono di queste cure?

“Secondo le ultime stime pubblicate dall’Associazione Italiana Oncologia Medica, il tasso di abbandono si attesta intorno al 30%. Questo dato lo riscontriamo anche a livello provinciale. La percentuale, negli ultimi anni sta migliorando: noi oncologi prestiamo sempre maggiore attenzione alla questione, attivando strategie motivazionali e comunicative. Non solo, in Romagna abbiamo un sistema di assistenza avanzato grazie alla presenza delle cosiddette ‘Survivorship clinics’”.

Può spiegare meglio cosa sono?

“Nel nostro territorio, le pazienti possono accedere a strutture extraospedaliere, come il Prime Center di San Cristoforo, frazione di Cesena vicinissima a Santa Maria Nuova di Bertinoro, gestito dallo Ior, l’Istituto Oncologico Romagnolo. Questo centro si prende cura della persona in modo olistico, offrendo servizi di medicina integrata quali agopuntura, nutrizione clinica, riabilitazione articolare e altro ancora. Grazie a queste prestazioni, il Prime Center aiuta i malati nel controllo degli effetti collaterali a lungo termine. Uno strumento che può favorire la continuità delle terapie”.