di
Redazione
, scritto il 10/11/2025
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Fotografia
Una grande retrospettiva partita dal MAXXI di Roma e adesso a Udine, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea – Casa Cavazzini (fino al 6 gennaio 2026), ha ripercorso l’intera attività di Guido Guidi, uno dei maggiori fotografi contemporanei, e ha contribuito a definire il suo ruolo per la fotografia contemporanea: Guidi ha elevato il quotidiano a filosofia di vita.
L’opera di Guido Guidi (Cesena, 1941) può essere paragonata a quella di un geologo che, invece di cercare l’oro o i diamanti, si concentra sulle rocce sedimentarie e sulle fessure del terreno apparentemente comuni. Guidi non cerca la bellezza spettacolare (la montagna intatta), ma la stratificazione storica e concettuale insita nel cemento, nei muri di provincia e nelle inquadrature casuali. La sua importanza risiede proprio nella capacità di aver trasformato la semplicità del quotidiano in un complesso trattato di filosofia visiva, dimostrando che l’atto di fotografare è un dialogo continuo e profondo tra l’occhio, il tempo e la macchina, non solo una registrazione estetica. Il suo ruolo è stato chiarito dalla grande mostra Guido Guidi. Col tempo, 1956 – 2024, la più grande esposizione mai dedicata all’autore, curata da Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia, che dopo l’esordio al MAXXI di Roma dal 13 dicembre 2024 al 30 marzo 2025 è continuata con una seconda tappa a Udine, negli spazi del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea – Casa Cavazzini, dal 27 settembre 2025 al 6 gennaio 2026.
Nato a Cesena nel 1941, Guidi è riconosciuto come un maestro fondamentale della fotografia odierna. La sua attività di ricerca, iniziata negli anni Sessanta, ha avuto la capacità di ridefinire in modo profondo le relazioni tra l’immagine e l’ambiente circostante, così come quelle tra la fotografia e il campo dell’architettura, esercitando un impatto duraturo su tantissimi fotografi (uno di questi, per esempio, è Enrico Amici). La sua importanza non è limitata solo al piano artistico; Guidi è considerato un punto di riferimento imprescindibile anche nell’ambito didattico, forte della sua esperienza di insegnamento presso l’Università IUAV di Venezia. Il valore della sua opera è confermato dalla presenza delle sue creazioni nelle collezioni di alcuni dei musei più prestigiosi a livello mondiale, tra cui il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi e il San Francisco Museum of Modern Art.
Guido Guidi, San Giorgio, 1993 © Guido Guidi
L’opera di Guidi può essere considerata anche come una vasta narrazione lunga oltre sessant’anni di attività. Il titolo stesso della mostra di Roma e Udine, Col tempo, ripreso da un cartiglio di un dipinto di Giorgione, simboleggia l’intera produzione dell’artista e il punto di arrivo raggiunto grazie al trascorrere del tempo.
Guidi appartiene a quella schiera di autori di rilievo internazionale che hanno impresso una svolta nel nostro modo di percepire e interagire con il paesaggio. La sua prospettiva artistica si distingue per una visione che è al contempo rigorosa e intrisa di poesia. Inoltre, ha dato vita a una poetica visiva tra le più influenti della cultura contemporanea, sviluppata attraverso una meditazione intensa sul linguaggio dell’immagine. Il suo lavoro affronta in modo concettuale tematiche cruciali che riguardano il meccanismo della rappresentazione visiva, trattando la fotografia come un vero e proprio linguaggio che comunica attraverso un suo proprio sistema di segni. Ogni scatto di Guidi racchiude una riflessione sull’atto stesso del vedere, sul mezzo impiegato per catturare la realtà e sullo scorrere inesorabile del tempo.
Guidi trova le fondamenta di questa “scrittura” visiva non negli scenari idilliaci, ma nel paesaggio quotidiano, disordinato e apparentemente privo di qualità della provincia in cui ha sempre vissuto, in particolare la sua Romagna, che ha fotografato con insistenza lungo tutto il suo percorso. La sua visione è radicale in quanto rifiuta le gerarchie estetiche precostituite e i soggetti tradizionalmente privilegiati, concentrandosi sui dettagli apparentemente insignificanti del paesaggio e attribuendo lo stesso peso sia al banale che al monumentale. Questa ricerca, coerente e originale, prosegue ininterrotta dal 1956.
Il percorso di Guidi inizia con una formazione importante, prima all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), dove ha seguito i corsi di figure eminenti come Carlo Scarpa, Bruno Zevi e Mario De Luigi, e poi al Corso Superiore di Disegno Industriale, studiando con Italo Zannier e Luigi Veronesi. Già nelle sue prime immagini, negli anni Cinquanta, si manifesta la sua peculiare abilità nel conferire una struttura visiva riconoscibile persino agli eventi più semplici della vita di tutti i giorni. Le opere realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta, come le serie Esercizi, Al mare e Attesa, sono caratterizzate da una stimolante incertezza, tipica di questi primi momenti di sperimentazione. Questi oggetti fotografici, curati con grande attenzione nella scelta del loro vocabolario visivo, possiedono una materialità intrinseca, recando con sé la memoria della loro creazione, i segni del loro utilizzo e le imperfezioni dovute alla produzione artigianale. Spesso, la precisione ottica tipica della prospettiva fotografica si fonde con l’aggiunta di scritte, volte a registrare informazioni ai margini dell’immagine, aspetti che rimarranno costanti nel suo lavoro.
Guido Guidi, Ravenna, 2004 © Guido Guidi
Durante gli anni Settanta, Guidi ha sperimentato lungo due direzioni complementari: da un lato, l’uso di apparecchi di piccolo formato per documentare il suo microcosmo personale, spazi privati e incontri casuali nei suoi spostamenti tra il Veneto e la Romagna. Queste fotografie mostrano composizioni complesse, forme distorte o anticlassiche, dove il campo visivo può essere sfocato, compromesso dal movimento o accecato dalla luce artificiale di un flash. In serie come Coincidenze e Andata e ritorno, Guidi ha persino sperimentato l’abbandono del controllo totale sulla composizione, scattando senza portare la macchina all’occhio. In Di sguincio, il tema del tempo è affrontato attraverso istantanee che mirano a generare quella che egli definisce una “performance dell’incontro”. Contemporaneamente, dal 1972, anche grazie a uno studio approfondito del lavoro di Walker Evans, Guidi ha avviato una lunga indagine sull’edilizia comune di provincia, concentrandosi in particolare sul soggetto della facciata, di cui sottolinea il carattere quasi antropomorfo.
Il decennio degli anni Ottanta segna un’evoluzione stilistica cruciale: Guidi approfondisce la sua esplorazione del paesaggio costruito, prediligendo l’impiego del medio e del grande formato. Questa scelta tecnica risponde all’esigenza di ottenere una maggiore nitidezza, un controllo più meticoloso sull’inquadratura e una maggiore lentezza nel processo creativo, mentre l’uso del colore diviene sempre più sistematico.
Dalle immediate vicinanze di Cesena, pur mantenendo sempre un’attenzione costante verso i luoghi della sua vita, la geografia esplorata da Guidi si espande in modo significativo. Dopo aver lavorato su Napoli, il suo obiettivo si sposta su Trieste, sulla Via Emilia, sulla città industriale di Marghera, e su Graz, per arrivare fino alla provincia di Milano. Nonostante l’adozione di apparecchi come il 20×25, Guidi non rinuncia a quelle “trasgressioni” che sono state da sempre un tratto distintivo della sua indagine sul linguaggio fotografico. Ne è esempio il lavoro a Rubiera e a Gibellina nel 1989, dove ha inclinato l’apparecchio lateralmente, raggiungendo equilibri compositivi del tutto inediti. A Rimini, nel 1991, ha utilizzato la messa a fuoco selettiva e il basculaggio per sviluppare uno sguardo “in soggettiva”, riportando l’attenzione del fruitore direttamente sull’atto del vedere.
Guidi ha interpretato anche i numerosi incarichi di documentazione dell’architettura e del territorio, ricevuti da istituzioni internazionali e italiane, con una filosofia essenziale: “Il fotografo non ha idee. Deve adattarsi a quello che c’è. Con questo cosa posso fare?”. Tra il 1993 e il 1996, ha intrapreso un viaggio lungo la strada B1 che collega Kaliningrad a Santiago de Compostela, realizzando un atlante inedito degli spazi che si trovano tra le città.
Fotografie della serie In montagna, 1983 – 1988
Nel campo specifico dell’architettura, una commissione del CCA di Montréal gli ha offerto l’opportunità di fotografare diverse realizzazioni di Carlo Scarpa, tra cui spicca la Tomba Brion. In questo lavoro, Guidi ha cercato di penetrare nel processo mentale dell’architetto, riuscendo a scoprire configurazioni di luce e materia che sino a quel momento non erano state rilevate dagli studiosi. Successivamente, Guidi ha rivolto il suo obiettivo verso le architetture di maestri come Le Corbusier, Mies van der Rohe e Álvaro Siza, mettendo in luce giochi di luce, ombre, geometrie, codici e dettagli che egli ha individuato quasi “a dispetto” degli stessi autori. In Guidi, sono i capolavori di questi architetti a integrarsi nel suo paesaggio personale, e non viceversa.
La complessità e la profondità teorica del pensiero di Guidi non sono restituite unicamente dalle stampe fotografiche, che, nella mostra Col tempo, hanno superato le 350 opere distribuite in 34 sequenze curate dall’autore stesso. Un ruolo fondamentale è svolto dai materiali d’archivio e dalle teche. Attraverso quaderni, materiali manoscritti, volumi della sua biblioteca, stampe e provini, i visitatori possono approfondire l’evoluzione del suo linguaggio visivo. Questi documenti tematici rivelano i suoi riferimenti, che spaziano dalla storia dell’arte ai maestri contemporanei come Carlo Scarpa e Walker Evans, e approfondiscono gli aspetti tecnici legati alla stampa e alla sperimentazione con diverse macchine fotografiche.
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