“Le parole riscatto e pregiudizio non le voglio usare più perché ora ho tutto. Mi è andata bene” dice Nino D’Angelo a poche ore che Nino. 18 giorni sarà proiettato in anteprima nella sua Napoli al cinema Metropolitan. Dopo gli applausi ricevuti al Festival di Venezia c’è curiosità per il documentario che racconta di lui, anche perché a farlo è il suo primo genito, Toni D’angelo apprezzato regista che attraverso uno smartphone segue suo padre in giro per l’Italia, durante le tappe del suo tour e allo stesso tempo, lo riporta nei luoghi della sua infanzia: San Pietro a Patierno, il quartiere di Napoli in cui è cresciuto, e Casoria, paese alle porte di Napoli dove è diventato uomo, cantante e padre. Il pretesto per iniziare questo viaggio sono i 18 giorni in cui Nino era a Palermo: quando Toni nacque, Nino era lì, impegnato con la prima sceneggiata che lo rese noto. Un successo inaspettato, che si protrasse a lungo e che ritardò di 18 giorni la conoscenza fra padre e figlio. Oggi, a distanza di anni, Nino e Toni, diventato padre a sua volta, cercano di riappropriarsi di quel tempo perduto per riscoprirsi e ritrovarsi, l’uno nell’altro.

Ne viene fuori una storia di famiglia che dopo stenti povertà e resilienza c’è il successo di un padre che si racconta al figlio dov’è mancato in quei primi 18 giorni dalla sua vita.

Nino D’Angelo negli anni ‘80 è stato il caschetto biondo più famoso d’Italia dopo Raffaella Carrà. Oggi non ha più il caschetto e non fa più quelle canzoni che lo resero famoso allora, come “’Nu jeans e ‘na maglietta”. I suoi capelli si sono ingrigiti, anche se glieli taglia lo stesso barbiere che inventò il caschetto. Vive a Roma, circondato dalla sua numerosa famiglia, e la sua musica – che compone in un piccolo studio sulla Cassia – ha il suono del Mediterraneo. L’ultimo concerto allo Stadio Maradona di Napoli è un saluto definitivo agli anni ‘80, al caschetto e a quel tipo di musica. A vivere con lui questo momento, nascosto dietro un telefonino, suo figlio, Toni, regista. Lo incalza con le domande, registra tutto, anche e soprattutto i momenti più intimi. Chi era suo padre negli anni ‘80? Com’è arrivato al successo e al benessere dalla povertà più assoluta? E perché, una volta raggiunto il successo, quando Toni era piccolo, hanno dovuto abbandonare la città che aveva reso celebre suo padre?

Le risposte a queste domande richiamano l’attenzione del pubblico sia di quello che l’ha sempre amato che di quello che l’ha rivalutato e riscoperto dopo che ha composto la premiata colonna sonora di Tano da Morire, le interpretazioni di Viviani. Non a caso l’anteprima di questa sera al cinema Metropolitan è andata sold out tanto da essere raddoppiata. 

Saranno numerosi gli appuntamenti per promuovere il film: si inizia il 20 novembre, giorno dell’uscita nelle sale, al The Space, il 21 novembre alle ore 20.00 all’Uci Casoria e il 23 novembre alle ore 19.15 al Modernissimo di Napoli Nino e Toni D’Angelo saranno presenti per i saluti in sala per presentare agli spettatori questo racconto intenso e toccante che scava nell’anima di un artista capace di attraversare generi, palcoscenici e generazioni, restando sempre fedele alle proprie radici.

Nino e Toni D'Angelo presentano in anteprima a Napoli Nino 18 giorni foto Antonia Fiorenzano-2

Dal caschetto d’oro alla performance al Festival di Venezia

Quando ha sfilato sul red carpet del Festival di Venezia è stato orgoglio Nino D’Angelo, euforico, infatti non ha resistito di giocare con i fotografi unendosi a loro citando un film comico che anni fa ha girato, Paparazzi, perché Gaetano, in arte Nino D’Angelo è anche questo, un uomo ironico. Molti anni fa quello stesso festival non l’ha invitato alla presentazione del musical di Tano da Morire, considerandolo ‘too much’.

La calda accoglienza al Lido anche da parte di addetti ai lavori del panorama internazionale non se l’è aspettata. Una sorpresa per lui che si è unita il giorno dopo quando gli organizzatori gli hanno chiesto di esibirsi alla cerimonia di premiazione del Festival con una delle sue canzoni dedicate proprio alla guerra.

“Il Nino D’Angelo con il caschetto d’oro è ancora con me. Non se n’è andato ed era anche più rivoluzionario di me quello quel ragazzo con il caschetto, nel bene e nel male. Quando facevo le sceneggiate accanto a Mario Merola definendomi il suo erede, ho smaniato perché Io volevo arrivare ai giovani della mia età cercando nuove sonorità. A 20 anni, è ovvio che si parli d’amore è che poi cerchi di evolverti, affrontando altri argomenti” spiega Nino D’Angelo durante la conferenza stampa a Casa Cinema “Tutto ha una radice e penso che da Nu jeans e Na maglietta, lentamente qualcosa è cambiato. Pino Daniele era geniale, un’altra dimensione. Poi è arrivato il pop napoletano così definivano i neo melodici. Io mi sono inserito lì negli anni 80 creando il popolo delle mie canzoni. Rivoluzionavo e iniziavo ad affrontare tematiche sociali ma nessuno se ne rendeva conto. I significati di alcune mie canzoni come Ragù ca’ guerra le hanno scoperto oggi”.

Nel documentario ci sono tutte le canzoni recenti di D’angelo, come ‘O pate, che si mescolano tra aneddoti e fatti di una vita come gli anni in cui è andato a Sanremo cantando in napoletano in un’epoca dove veniva richiesto addirittura i sottotitoli se ci si esibiva in lingua partenopea.

“Adesso dove c’è mondo c’è Napoli. È sempre stata Napoli che ha fatto qualcosa per noi. Mi piace essere definito un cantante napoletano perché sono un cantante napoletano e voglio esserlo. La canzone napoletana è stata la prima a essere conosciuta nel mondo e questo lo dobbiamo ricordare” rimarca Nino D’Angelo.

Napoli è dei giovani

“A Napoli prima c’era un pregiudizio. Oggi è amata da tutti infatti ogni due metri di una strada che svolti trovi pure un sacco di turisti. Sui social ci sono tante cose che non vanno ma una delle cose buone dei social è che hanno contribuito a fare vedere ciò che c’è di bello a Napoli. Questo però lo dobbiamo soprattutto ai giovani napoletani hanno fatto del Bene che sono andati all’estero e sono tornati. Sono forti, belli. Alcuni sono scugnizzi come lo ero io. Dobbiamo dare fiducia a loro, quindi mettiamoci da parte per farli fare.”

Napoli ce l’ha nel DNA Nino D’Angelo condividendo anche l’amarezza di chi in passato l’ha criticato per aver lasciato la città per vivere a Roma: “Qualcuno mi ha detto di essere stato un traditore per aver lasciato Napoli. È stata una scelta che ho fatto con dolore Io sono dovuto andare via da Napoli ed è stato una sofferenza, ma non potevo fare a meno di farlo in quegli anni in cui la camorra avanzava.”

Com’è nato il Nino. 18 giorni

Il documentario Nino. 18 giorni è un progetto nato per caso. Non era scontato che fosse suo figlio Toni a realizzarlo, anzi, inizialmente Toni D’Angelo è stato contatto da molti registi interessati a raccontare la sua storia fatta di ascesa, gloria, cadute e risalite brillanti dove nel mezzo ci sono amarezza, la lotta di chi non si arrende e la breve stasi di una depressione che oggi dice D’Angelo quegli anni hanno contributo a renderlo l’uomo e l’artista di oggi. C’era tanto in questa storia ma con nessuno Nino D’Angelo ha instaurato la giusta empatia per andare avanti. Qui entra in campo il figlio. Qui mette anche la sua voce narrante dandone un eco anche romantico.

“Mio padre, per professione, è abituato alle telecamere, a stare al centro della scena. Tuttavia, è molto riservato circa la sua vita privata e non ha mai concesso a nessuno di riprenderlo al di fuori del set o del palco. Per questo la mia curiosità, pur essendo molto forte, è rimasta inespressa per molto tempo. Oltre per un mio speculare imbarazzo nel raccontarlo, nonostante il desiderio. Ma poi un giorno, riprendendolo giocare con mio figlio, mi sono accorto che di fronte al telefonino non aveva alcun imbarazzo e che quel mezzo mi consentiva di scrivere la sua storia in modo più intimo e personale” spiega Toni D’Angelo mentre suo padre Nino, accanto a lui, lo osserva ammirato.

Toni D’Angelo è un uomo anche più riservato del padre, di poche parole. Lui è abituato a comunicare per immagini. Realizzare questo documentario significa anche mettere in mostra una parte di sé e forse questa è stata la difficoltà più grande: “Abbiamo trovato un modo sereno per stare entrambi dentro un film che fosse la sua incredibile storia di ascese e cadute. Dietro molte di queste ascese e di queste cadute io c’ero e so cose su e di mio padre che nessuno sa. Ora è il momento di raccontarle assieme a lui da uomo, con la consapevolezza di essere diventato padre a mia volta, e soprattutto con lo sguardo da regista, pronto a restituire a un pubblico più ampio possibile, non solo quello che già segue mio padre da sempre, una figura che merita di essere svelata nella sua interezza”.