di
Stefano Righi
Il 12 novembre il consiglio di amministrazione: per la figura del direttore generale da affiancare a Donnet, in prima fila Giulio Terzariol, oggi a capo dell’«Insurance» della compagnia
La scorsa settimana il Monte dei Paschi di Siena ha visto accogliere la trimestrale al 30 settembre con un +5 per cento in Borsa. Il giorno prima, giovedì 6, la sua principale controllata, la neo acquisita Mediobanca, aveva chiuso a +2,39 per cento.
Il progetto industriale di Luigi Lovaglio, amministratore delegato del Monte dei Paschi e la sua capacità di mettere a terra le idee, di trasformare un documento di Power Point in realtà, sembrano ora piacere al mercato, anche a quegli analisti che fino a poche settimane fa non vedevano ratio industriale nel progetto del Monte. Qualche giorno fa, il report di una casa di investimento di uno dei maggiori gruppi finanziari europei, ha promosso le prospettive di Mps e, con il titolo sotto i 7,5 euro, ha fissato a 10,5 euro il target price dell’azione Mps. Ovvero, un bel +50%. Potenza del successo (altrui). Ora Mps, incassata la promozione, si mette alla finestra, con tutti i suoi azionisti. E guarda verso Trieste, dove mercoledì 12 si riunirà il consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali, che è la prima partecipazione di Mediobanca.
Grandi soci
La catena è evidente: Siena-Milano-Trieste. L’investimento nel capitale del Leone da parte di Mediobanca è valorizzato, ai prezzi di Borsa di venerdì scorso, circa 6,7 miliardi di euro. Una cifra importante, tanto che gli ultimi esercizi di Mediobanca hanno visto la cedola arrivare da Trieste pesare per un terzo del totale degli utili netti. Ma è una cifra ancora non sufficiente a spiegare la necessità di un cambiamento nella tana del Leone. Va infatti considerato che, al fianco di Mediobanca, nel capitale di Generali sono presenti la Delfin dei Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone e il suo gruppo, la famiglia Benetton e Unicredit. Tutti assieme, questi grandi azionisti privati, rappresentano oltre il 41 per cento del capitale delle Generali e tutti chiedono discontinuità.
Ora, il tema è semplice. L’attuale consiglio di amministrazione, eletto a primavera, è rappresentanza della lista di Mediobanca. Non di una lista (non presentata) del consiglio di amministrazione uscente, proprio di Mediobanca che, rispetto ad allora, ha recentemente cambiato padrone. Si pone quindi un tema di rappresentatività.
Rappresentatività
Il problema è ben chiaro ai vertici delle Generali. Sia l’amministratore delegato Philippe Donnet che il presidente Andrea Sironi stanno lavorando a immaginare un futuro possibile. Come verrà rimodulato il consiglio? A oggi i componenti sono tredici. Tre afferiscono alla minoranza, nel frattempo e a vario titolo divenuta maggioranza. Uno, Clemente Rebecchini, è espressione diretta del maggiore azionista, Mediobanca ed è legittimo pensare che ne interpreterà le volontà. Anche così facendo, però, il confronto 9 a 4 non è rappresentativo della nuova proprietà. È quindi necessaria una fase di transizione, che tutti però vogliono dolce ed ordinata. È cambiato il vento, nessuno lo vuole negare, ma il terreno da attraversare è ricco di buche e nessuno vuole distorcersi una caviglia. Si procede con estrema cautela. E qualcuno sta cercando di mettere in calendario un incontro a tre, se non proprio a quattro, tra gli amministratori delegati e i presidenti dei due gruppi. Mercoledì 12 intanto dovrebbero arrivare le prime indicazioni.
Urgenze
Se la ricomposizione del consiglio di amministrazione procede giustamente con passo felpato, ben più urgente è dare un segnale di continuità manageriale al mercato. Questo passaggio si potrebbe realizzare con la creazione della figura del direttore generale, oggi assente, che Donnet sembra aver individuato in Giulio Terzariol, che lo stesso Donnet andò a prendere nel 2003 in Allianz, dopo che aveva trascorso 25 anni in giro per il mondo a rappresentare il gruppo tedesco.
Sarà lui l’uomo della continuità aziendale? Di sicuro la figura manageriale va creata, per evitare quelle incertezze che sono notoriamente poco gradite al mercato. A lato di queste due esigenze, molto sentite da una parte consistente dell’azionariato, vi è poi il tema Natixis, ovvero il progetto di Donnet di unire la gestione del wealth management delle Generali con il gruppo francese. Era gennaio, se ne parla da quasi un anno. E l’idea ha incontrato l’opinione avversa di molti grandi soci e anche il governo italiano, presente nel capitale del Monte dei Paschi di Siena, non sembra essersi illuminato davanti a una simile prospettiva. Donnet è convinto degli aspetti industriali, ma la politica non si può ignorare e neppure la volontà del padrone di casa. Di certo, con la rimodulazione del consiglio che si staglia in prospettiva nessuno sembra aver personale interesse a scontrarsi per Natixis. La transizione in Generali ci sarà, ma sarà soft e chiederà tempi se non lunghi almeno medi. Gli eccessi di scontrosità del passato sono solo il ricordo di una brutta pièce teatrale che nessuna delle parti vuole tornare a interpretare. A Trieste stanno guardando avanti. Da mercoledì si dovrebbe iniziare a capire non soltanto il risultato del trimestre, che rimane importantissimo, ma anche la direzione degli sguardi.
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11 novembre 2025
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