L’opposizione
In Italia ci sono 120 tra comitati e associazioni che organizzano cortei, convegni e petizioni per dire no all’eolico e al fotovoltaico a terra. A volte hanno ragione, altre volte no. Chi di certo è dalla parte del torto, sono i violenti: negli ultimi sedici mesi si registrano sette tra incendi e sabotaggi. Più volte nel mirino è finito il cantiere di Agsm autorizzato alla costruzione di un parco eolico sulle montagne del Mugello: gli attivisti hanno asportato recinzioni e picchetti, piantato chiodi sugli alberi per renderne pericoloso il taglio, e a luglio hanno danneggiato i macchinari e aggredito ingegneri e boscaioli. In Sardegna, dove si sospetta l’infiltrazione criminale nel business dell’eolico, hanno svitato i dadi alla base delle pale, incendiato pannelli fotovoltaici, e lanciato molotov contro i teli di protezione di un deposito.
L’iter per l’approvazione degli impianti non prevede la consultazione della popolazione locale, ma le proteste influenzano i politici locali secondo la logica del Nimtoo («Not in my terms of office», non durante il mio mandato elettorale).
Un esempio: il 13 giugno la Ponente Green Power propone 4 pale eoliche nelle valli del Natisone, in una zona del Friuli che non ricade tra quelle definite «non idonee», e subito un comitato fa partire la raccolta firme. A fine luglio 15 sindaci si accodano perché «compromette paesaggio, fauna, popolazione», e ad agosto in Regione arrivano i pareri contrari di decine di associazioni. Il 2 ottobre l’assessore regionale all’energia Fabio Scoccimarro si schiera col fronte dei contrari: «La mia valutazione politica è che il grande eolico da noi non ha motivo di essere». Lo stesso giorno esce il decreto della commissione tecnica regionale: servono altri approfondimenti, l’autorizzazione per le quattro pale dovrà passare per la Valutazione d’impatto ambientale.