di
Natascia Festa
Napoli, a Casa Cinema la presentazione del docufilm «Nino, 18 giorni» diretto dal figlio Toni. «Il mio nuovo look? Ispirato a Sergio Bruni. Geolier mio erede? Solo del personaggio, la musica è cambiata»
A Casa Cinema, in via Cisterna dell’Olio, per la presentazione napoletana del film «Nino.18 giorni» di Toni D’Angelo («Essere raccontato da un figlio è un privilegio», ha detto), il protagonista arriva con nu jeans e ‘na maglietta però nera e con il mezzo collo.
Nuovo look per Nino D’Angelo, dopo il successo alla Biennale di Venezia?
«Stamattina mi sono vestito come Sergio Bruni, ora che ho i capelli bianchi come lui, me lo posso permettere».
Il documentario uscirà il 20 novembre dopo aver commosso tutto il mondo del cinema al Lido. Se lo aspettava?
«Veramente no. Soprattutto se penso come andò la prima volta con Tano da morire».
Cosa successe?
«La produzione del film di Roberta Torre, che era al suo esordio, mi chiese di restare a casa, di non andarci proprio alla Mostra del cinema perché, dissero, ero una presenza ingombrante. Il successo fu immediato, ma non me lo sono potuto godere. Mi telefonò Goffredo Fofi arrabbiatissimo: “Nino, ma dove sei? Perché non sei venuto?”. E io gli dovetti spiegare la cosa. Poi vinsi il David di Donatello per le musiche e fu una nuova partenza. Però, mi raccomando: non parliamo più di sdoganamento e di riscatto, non ne posso più. Da cosa mi dovrei riscattare? A Venezia questa volta mi sono sentito come uno del popolo che ce l’ha fatta. Non stavo a Napoli con la mia gente. Il regista che ha vinto il Leone d’Oro mi è venuto ad abbracciare commosso. Toni (chiede al figlio, ndr) come si chiama? Ah sì, Jim Jarmusch. Avevo cantato Odio e lacreme dall’album Il ragù con la guerra del 2005: un tema purtroppo oggi attuale, ma che io ho trattato venti anni fa senza che nessuno se ne accorgesse. Perché sì, è vero, l’argomento principale della mia musica è l’amore, ma io racconto temi sociali e do voce al mio popolo che nessuno rappresenta. A proposito, mi è dispiaciuto molto che dalla facciata del Trianon che abbiamo salvato dalla chiusura – vi ricordate che volevano farci un Bingo? – e che ho diretto con orgoglio, abbiano tolto la scritta “teatro del popolo”. Ora si chiama della canzone napoletana ma dico io: tutta Napoli è il palcoscenico della canzone, quella resta la sala di Forcella, del popolo, o no?».
Il film, oltre le ascese, dai matrimoni all’Opera di Parigi, racconta le cadute. Quando un impresario le dice «tu hai le rose in bocca», ma le chiede 500mila lire…
«Sì, fu bruttissimo perché non avevo un soldo. Allora mi persi, non ci credevo più neppure io; cattive amicizie mi portarono alle bische clandestine. Mi salvò mio suocero, Vincenzo Gallo, che non era noto ma era un autore di canzoni: mi portò a casa sua, si prese cura di me. Poi mi sentii pure in colpa quando mi innamorai della figlia Annamaria e ce ne scappammo perché era incinta di Toni. Mi accolse che avevo finito la terza media e iniziavo il periodo più difficile: dai 13 ai 18, non sai che sei. Fino a quel momento mi aveva aiutato il parroco: facevo il chierichetto, lo racconto anche nel film. Una volta lo accompagnai nelle case a dare la benedizione. Mantenevo il contenitore delle offerte. Tornati in chiesa, lo svuotò in una busta e mi disse: portali a casa. Io pensai: allora anche in chiesa rubano? E glielo dissi. E lui: “Nino, per chi sono questi soldi?” E io: “Per i poveri?”. “E tu cosa sei?”. Fino ad allora forse non lo avevo capito. Quel ragazzo con il caschetto lo porto sempre dentro: era più rivoluzionario di me. Mario Merola mi nominò suo erede, ma a me non bastavano isso essa e ‘o malamente. Volevo parlare ai giovani: mi misero in mano un disco di Peter Gabriel e me ne innamorai».
E lei chi individuerebbe come suo erede? Geolier?
«La musica è cambiata completamente: Geolier potrebbe essere l’erede del personaggio Nino D’Angelo, ma non della musica. Lui ha capito una cosa importante: ha messo il neomelodico nel rap e funziona. Prima era rapper puro. Ma io dai cosiddetti neomelodici ho sempre preso le distanze perché sono erede della canzone napoletana che è un’altra cosa».
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12 novembre 2025 ( modifica il 12 novembre 2025 | 08:01)
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