Ogni anno milioni di italiani si sottopongono a esami del sangue “di routine”, convinti che più controlli equivalgano a più salute. Ma la realtà è diversa: molti test vengono prescritti per abitudine, senza una reale utilità clinica. Il rischio? Ricevere dati poco affidabili, far aumentare i costi per il Sistema sanitario nazionale, generare ansia inutile o sottovalutare segnali davvero importanti. Ne abbiamo parlato con Giorgio Sesti, direttore UOC di Medicina Interna presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Andrea e Ordinario di Medicina Interna presso la Facoltà di Medicina e Psicologia-Sapienza Università di Roma.

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Gli esami del sangue utili

Spesso gli esami di laboratorio vengono richiesti per abitudine, anche nei controlli annuali di pazienti sani. Quali test eliminerebbe da un check-up standard e quali, invece, terrebbe? “Molti esami vengono richiesti per routine, più per abitudine che per reale utilità clinica. In una persona senza fattori di rischio specifici, eviterei test poco informativi come VES, ferro sierico, vitamina B12 totale o markers ormonali non indicati come insulina. Consiglierei un pannello di esami che includa glicemia, creatinina, colesterolo totale, trigliceridi, colesterolo HDL, transaminasi, gamma GT, bilirubina totale e frazionata, acido urico, emocromo, esame delle urine completo, elettroforesi e proteine plasmatiche”.

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I controlli per la prevenzione

Perché proprio questi esami? “Il pannello di esami consigliato – risponde Sesti – mira ad identificare precocemente le alterazioni più comuni e rilevanti per la salute generale. Include test per valutare glicemia e funzione renale (creatinina), rischio cardiovascolare (colesterolo totale, HDL, trigliceridi), stato del fegato (transaminasi, gamma GT, bilirubina), equilibrio metabolico (acido urico), salute ematologica (emocromo), funzionalità urinaria (esame urine) e infiammazioni o disordini proteici (elettroforesi e proteine plasmatiche). Si tratta di esami ad alta utilità clinica, indicati anche in soggetti sani, perché aiutano a intercettare disturbi in fase iniziale e orientare eventuali approfondimenti”.

La vitamina B12

Esami come la vitamina B12 totale o il ferro sierico vengono ancora richiesti di routine, nonostante siano considerati poco affidabili. Ma allora perché si continua a prescriverli? “La vitamina B12 totale o il ferro sierico – risponde Giorgio Sesti – sono esami ematici di secondo livello che vengono prescritti quando alcuni valori di un esame di routine come l’emocromo risultano alterati. In presenza di anemia riscontrata all’emocromo ovvero la riduzione dei valori di emoglobina è utile valutare i livelli di vitamina B12 totale in particolare se all’emocromo risultano di dimensioni maggiori i globuli rossi”. Inoltre, la vitamina B12 totale misura anche la quota legata a proteine non biodisponibili, quindi può risultare normale anche in carenza funzionale.

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Ferritina e transferrina

Ma allora quali alternative più efficaci si possono utilizzare? “Per un dosaggio più accurato della frazione biologicamente attiva della vitamina B12 – chiarisce l’internista – occorre misurare la olotranscobalamina che però non è sempre misurabile in tutti i laboratori di analisi cliniche. Per quanto riguarda lo stato del ferro, occorre misurare oltre a ferro sierico anche la ferritina e la saturazione della transferrina perché solo così è possibile avere una valutazione più precisa delle riserve e dell’utilizzo del ferro”.

Creatinina o cistatina C?

Tra gli esami spesso richiesti c’è la creatinina ancora oggi molto usata per valutare la funzione renale, ma che può dare risultati fuorvianti in alcune categorie di pazienti. “La creatinina resta un parametro di riferimento ed è largamente utilizzata anche negli studi clinici a livello internazionale, ma può essere fuorviante in soggetti con massa muscolare ridotta come anziani e soggetti malnutriti, o in quelli con massa muscolare aumentata come gli atleti”, chiarisce Sesti che precisa: “In questi casi può essere utile affiancare la cistatina C, che è indipendente dalla massa muscolare e fornisce una stima più accurata del filtrato glomerulare anche se il suo dosaggio non è sempre disponibile in tutti i laboratori di analisi cliniche”.

Gli esami per il profilo lipidico

Nel profilo ormonale e lipidico si usano spesso testosterone totale e colesterolo totale, ma oggi si parla di free testosterone, apolipoproteina B e colesterolo non-HDL come indicatori più precisi. In quali situazioni questi marcatori fanno davvero la differenza nella pratica quotidiana? “Il testosterone totale – risponde il medico internista – è molto utilizzato nella pratica clinica e fornisce in moli casi le informazioni necessarie per escludere la diagnosi di ipogonadismo. In alcuni casi di ipogonadismo borderline o di obesità potrebbe essere utile misurare il testosterone libero o biodisponibile perché il valore totale di testosterone può risultare normale ma l’attività biologica ridotta”. E per quanto riguarda il profilo lipidico? “E’ sufficiente misurare il colesterolo totale, i trigliceridi e il colesterolo HDL per valutare il rischio cardiovascolare in quanto con delle semplici formule è possibile calcolare con questi tre valori il colesterolo LDL (quello cattivo) e colesterolo non-HDL. Nei pazienti con ipertrigliceridemia o diabete potrebbe essere misurata l’apolipoproteina B in quanto misura direttamente il numero delle particelle aterogene contenenti il colesterolo”.