di
Monica Ricci Sargentini

Istanbul, Ekrem Imamoglu è accusato di essere il capo di una organizzazione criminale composta da 400 persone. Il partito secolarista: «Questo è il memorandum politico dei golpisti»

Se fosse condannato al massimo della pena Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul, l’unico considerato in grado di battere Recep Tayyip Erdogan, dovrebbe rimanere in carcere per 2.352 anni, fino al 4378. L’incredibile richiesta è contenuta nell’atto di accusa, lungo 4 mila pagine, presentato ieri dal procuratore capo di Istanbul Akin Gurlek, che ritiene Imamoglu, in carcere dallo scorso 19 marzo, il capo di un’organizzazione criminale, composta da 400 persone, che si sarebbe diffusa nella megalopoli come «i tentacoli di una piovra», provocando allo Stato danni pari a 160 miliardi di lire turche (3,28 miliardi di euro).

È uno schiaffo in faccia all’opposizione e ai milioni di persone che, dopo l’arresto del loro sindaco, sono scese in piazza per settimane accusando l’Akp, il partito della Giustizia e dello Sviluppo che governa il Paese ininterrottamente dal 2003, di aver attuato un «colpo di Stato». Un concetto reiterato ieri da Özgür Özel, il presidente del Partito popolare repubblicano (Chp): «Questo non è un atto d’accusa, ma un memorandum politico di golpisti — ha scritto su X —. La causa del male che stiamo vivendo non è affatto di natura giudiziaria. Si tratta delle ambizioni politiche di una persona». Un chiaro riferimento al presidente turco che si libererebbe così del suo nemico numero uno. Secondo quanto denunciato negli ultimi mesi dal Chp, il partito secolarista fondato da Mustafa Kemal Atatürk, l’arresto di Imamoglu, come quello di altri esponenti dell’opposizione, è «motivato politicamente», nel quadro di un presunto piano volto a indebolire l’opposizione in vista delle elezioni presidenziali del 2028.



















































«Come è noto — scrive ancora Özel — il 19 marzo c’è stato un colpo di Stato civile nel nostro Paese. Questa volta, i golpisti non sono arrivati con i carri armati ma con le toghe da giudice. Un pugno di persone ha trascinato la Turchia nell’oscurità di una grave crisi politica ed economica, imprigionando i rivali che temono. L’atto d’accusa emesso oggi (ieri ndr) ha proclamato ancora una volta la ben nota verità».

Secondo i pm l’«organizzazione criminale a scopo di lucro fondata da Imamoglu», avrebbe iniziato a strutturarsi dopo le elezioni locali del 2014 quando Ekrem è stato eletto vicesindaco di Beylikdüzü, un distretto nella parte europea della megalopoli, «con l’obiettivo di generare fondi per la sua candidatura alle successive elezioni presidenziali, nonché l’arricchimento materiale tramite capitale ottenuto grazie alla commissione di reati finanziari». Lui dalla sua cella nel carcere di Silivri, alla periferia di Istanbul, per ora non replica. Ma di sicuro è la tenacia una delle doti principali di questo politico dall’aria tranquilla. «15,5 milioni di voti per il candidato alla presidenza Ekrem Imamoglu» recita la foto del suo profilo su X con lui che si porta la mano sul cuore.

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12 novembre 2025