Nato e cresciuto in Prati, ha cambiato tante case e la sua infanzia non è stata sempre facile ma lo ha reso l’uomo che è oggi. Le scuole in centro, gli amici con i quali ha condiviso la passione e la ricerca per la musica, le esperienze all’estero, i primi album autofinanziati, fino all’amore trovato proprio nella sua Roma, che per Briga è casa e felicità.

A pochi giorni dall’annuncio di un figlio in arrivo e prossimo al concerto a Largo Venue – che ci sarà il 13 novembre – Mattia Bellegrandi, in arte Briga, si è raccontato a RomaToday. La musica, il successo, Amici, il non scendere mai a compromessi e, soprattutto, la sua Roma, che ama profondamente e dove ha scelto di restare.

Il 13 novembre sarai a Largo Venue, nella tua Roma, con Sentimenti club tour. Cosa deve aspettarsi il pubblico da questo concerto?

Sarà diviso in tre momenti distinti, uno rock, uno rap e anche un segmento acustico. E’ un po’ la prerogativa dei miei spettacoli, perché la mia è una discografia che racchiude più generi. Mi è sempre piaciuto sperimentare e costruire un processo creativo che sia degno di questo nome.

Credi sia questo l’aspetto che di te piace di più al pubblico?

Sì. Ma, prima ancora, è quello che piace di più a me. Penso che sia l’artista a dover guidare il pubblico in una nuova dimensione musicale, portandolo nel proprio mondo, non il contrario. Non bisogna confondere i ruoli, io voglio rimanere quello che sono. Se scrivi solo quello che piace alla gente non sei un artista.

Ci saranno degli ospiti con te a Largo Venue?

Sì, ci sarà Eddie Brock, che adesso sta esplodendo con una canzone bellissima “Non è mica te”, poi ci saranno Gemello e Chicoria che sono vecchi amici del collettivo TruceKlan, con cui abbiamo vissuto tante cose insieme nel passato. 

A proposito di passato: quali sono i luoghi della tua infanzia romana? 

Io ho avuto una vita un po’ travagliata, ho cambiato tante case a Roma. I miei genitori si sono separati che ero molto piccolo e avevano due condizioni economiche diverse, è come se da bambino io abbia avuto modo di vedere le due facce del mondo. Il primo ricordo d’infanzia che mi viene in mente è la Mole Adriana: mia madre mi portava lì al parco. Un posto stupendo, immerso nella cultura e nella storia di Roma, a due passi a San Pietro.

Il quartiere in cui sei nato, dunque, è Prati?

Sì, io sono nato in Prati, a Piazza Adriana. La Mole Adriana ce l’avevo proprio sotto casa. Proprio questa mattina, mi sono svegliato molto presto e pensavo, adesso che sto aspettando un figlio, agli anni ‘90, quando i parchi erano pieni di gente; non c’era tanta tecnologia e le madri portavano i figli al parco per farli sfogare. Mi domandavo: “Chissà se i bambini continuano ad andare al parco anche oggi o si rincoglioniscono tutti con l’ipad…”.

Dicevi di aver cambiato tante case, però, negli anni…

Sì, ho vissuto sempre nei quartieri limitrofi a Prati. Nonostante mia madre avesse poche disponibilità, ha cercato sempre di trovare soluzioni, magari molto piccole, ma immerse nella bellezza.

Una casa che ti è rimasta nel cuore?

Una casa minuscola che avevamo in via De’ Gigli d’oro, dietro a piazza Navona praticamente. Parliamo degli anni novanta. Quando dico questa cosa arrivano subito i bacchettoni che dicono “Menomale che non c’aveva una lira tua madre…”. Ma erano altri tempi, un affitto di una casa di 40 metri quadri, negli anni ‘90, poteva costare 400mila lire. Dopo la separazione dei miei sono passato da una casa grande, all’ultimo piano, a dormire nel divano letto con mia sorella in una situazione un po’ rimediata, era un piano terra, con delle finestre enormi in ferro battuto a mano, che davano su via De’ Gigli d’oro appunto.

Cosa ricordi di speciale di quel periodo?

La mia prima indipendenza. Ricordo che mia madre mi mandava la domenica, a piazza Navona, dal giornalaio, da solo. Mi diceva “Vai a prendere il giornale e, se quando la lancetta dell’orologio arriva qui, tu non sei tornato, sono cavoli tuoi. Io andavo lì, poi giocavo con gli amici sotto al Consolato del Brasile che sta lì a piazza Navona. L’ho raccontato anche nella canzone “Buonanotte Roma” che è nel mio ultimo album. 

C’è un altro luogo del cuore che leghi alla tua infanzia?

Via Gregorio VII. Ci abitava mia nonna, per un periodo ho vissuto da lei e sono legato anche a quella parte lì.

Le scuole, invece, dove le hai fatte?

Alle elementari ho frequentato la Pistelli, dietro piazza Mazzini. Alle medie sono stato alla Giuseppe Gioacchino Belli, sempre da quelle parti e poi il liceo classico al Mamiani. 

Che scuola era il Mamiani in quegli anni?

Era una scuola bella tosta, che però io ho fatto a modo mio. 

In che senso?

Perché io ero un anno avanti, ho iniziato il liceo che avevo 13 anni e quindi mi trovavo a scuola anche con ragazzi di 20, magari bocciati. Lì mi si è aperto un mondo stupendo, ho imparato tanto, sono cresciuto tanto. 

Che ragazzo eri? Estroverso, determinato, un po’ ribelle?

Non sono mai stato un timido, oggi sono l’evoluzione di quel ragazzo lì. Ho sempre trascinato le persone, piuttosto che essere trascinato. Non sono cambiato eccessivamente, diciamo che mi sono svegliato. Fino ad un certo punto vivevo di calcio, poi c’è stata una piccola rivoluzione dentro di me. A 17 anni sono andato un anno a vivere in Danimarca, poi sono tornato a Roma per fare l’ultimo anno, sono stato bocciato, ho avuto un po’ di problemi, sono andato a Madrid e alla fine la scuola l’ho finita più avanti, al pubblico serale. 

Ti ricordi di un amore nato tra i banchi di scuola?

Il primissimo bacio è stato al mare in Toscana, ma il primo amore importante è stato a Roma. Ripensavo, proprio qualche giorno fa, al primo anno di fidanzamento che festeggiai con una delle mie prime fidanzate, avevo 18 anni. Abbiamo fatto una cena in barca che navigava sul Tevere fino a Ostia e poi tornava indietro. Ricordo che tutta settimana prima avevo pregato che ci fosse bel tempo. Mi ricordo di una cena appiccicati su questo battello minuscolo. Fu divertente però…

Quando è nato in te il desiderio di avvicinarti alla musica?

Penso che il Mamiani sia stata croce e delizia per me. Era una scuola davvero all’avanguardia, per il fervore politico che si respirava, per la consapevolezza, per le menti che sono uscite da quel tipo di scuola. Una scuola con pregi e difetti, chiaramente, ma che ti apriva la mente su tante cose. Ovviamente, in un istituto di 1200 alunni, non tutti sono amici, ma ci condividi del tempo, facevamo le autogestioni, dovevamo proporre dei corsi, eravamo proprio educati al pensiero indipendente. Lo eravamo nelle nostre famiglie e anche a scuola. Era una scuola dove, anche musicalmente, si andavano a cercare tutte quelle situazioni veramente alternative, indipendenti, belle.

Ad esempio?

Noi ascoltavamo i Subsonica, c’erano le band della scuola che risuonavano quelle canzoni. Inoltre, con i compagni di scuola scambiavamo la cultura musicale. Io avevo portato il rap, poi c’erano amici che portavano la musica elettronica alternativa, il cantautorato alternativo. Era tutta una grande ricerca che, personalmente, mi ha molto stimolato.

Queste esperienze come le hai riportate nel tuo lavoro?

Si sono riversate nella mia creatività, mi hanno permesso di non aver paura di nulla. Non avrei mai cantato con Patty Pravo a Sanremo, non avrei cantato con Antonello Venditti all’Olimpico, se non avessi avuto quel background. Io conosco tutte le più vecchie canzoni del cantautorato italiano, anche quelle nascoste ad esempio. Grazie a tutto quello scambio, a tutta quella ricerca, a quello studio che c’è stato, sono il Mattia di oggi. 

Iniziavi, in quegli anni, anche a fare rap nei locali…

Sì. Dopotutto Roma non è New York, ma neanche un paese sperduto e aveva opportunità da offrire. Si facevano serate tre volte a settimana e veniva un sacco di gente. In un certo senso abbiamo educato le persone al rap, prima non lo conosceva nessuno a Roma.

E dove si facevano queste serate?

C’erano serate di due tipi. Quelle di rapper freestyle che si facevano in un locale a Trastevere, c’erano, ad esempio, LowLow, Rancore, CaneSecco. Poi, invece, c’erano le serate in cui ti esibivi con le tue canzoni, io andavo a queste perché a fare freestyle non sono mai stato capace. Queste serate si facevano al Rashomon a via Libetta e lo Zoobar sulla Nomentana. Per gli eventi più importanti c’era il compianto Circolo degli Artisti e poi qualcosa si faceva al Brancaleone, soprattutto musica elettronica. 

E’ vero che i primi album da ragazzino te li autofinanziavi andando a fare dei lavoretti dopo scuola?

Sì, la scuola a un certo punto me la sentivo stretta, anche per le esperienze che avevo fatto all’estero. Quindi, mentre finivo la scuola, avevo iniziato a lavorare in un locale sotto casa, un pub molto conosciuto in zona Prati. Poi la mattina mettevo, come si suol dire, la faccia sotto la fontanella di acqua fredda e andavo in prima ora a scuola (ride, ndr). Quei soldini mi aiutavano a pagare le registrazioni, i master e la stampa dei dischi che, già al tempo, costava un sacco di soldi. 

Hai un bel ricordo di quegli anni? Degli inizi della tua musica?

Sì, molto. Mi ricordo quando, a 18-19 anni, ho fatto la prima serata: ho chiamato la gente di scuola, gli ho fatto pagare un biglietto 10 euro e gli ho regalato il disco con l’entrata. C’erano 300 persone e mi ero, diciamo, recuperato un po’ di soldini per lavorare all’album successivo. Ho fatto così per due anni, prima di firmare con Honiro, che al tempo era un portale indipendente e poi è diventato un’etichetta indipendente molto importante, dove è gravitata gente come Gemitaiz, Ultimo, Mostro e tanti altri. 

A Roma hai fatto anche i casting di Amici, tutti conosciamo il tuo percorso nel talent che ti ha portato a conquistare il secondo posto. Sei grato a quella esperienza?

Ho un ricordo bellissimo, di un’esperienza molto particolare, nonché la prima cosa, nella mia vita, che ho fatto da inizio alla fine: ho sempre fatto fatica a portare le cose a termine e il mio percorso scolastico lo fa capire. Amici è stata un’esperienza importante, che non ho vissuto come un sogno, ma come una gara in cui dovevo emergere per una questione di vita o di morte, perché avevo 24 anni e volevo cominciare a rendere la mia passione un vero e proprio lavoro.

Se fosse andata male?

A casa avevo due genitori professionisti, dunque avrei continuato l’università. Nella mia testa mi ero messo un limite, se entro una determinata età non fossi riuscito a far girare bene le cose, mi sarei dedicato ad altro. 

Dopo Amici è arrivato l’invito di Antonello Venditti a cantare con lui allo Stadio Olimpico. Che emozione è stata?

E’ stato un onore, mi sono preso le gocce prima di salire sul palco. Ecco, quello è stato un sogno. Mi ricordo che quando ho finito di cantare sono scoppiato in lacrime. Antonello è un tipo simpatico, forte. Poi, io sono laziale ‘fracico’, lui della Roma, mi diede tutto lo spogliatoio della Lazio come camerino e poi c’è un aneddoto divertente: io ho cantato con lui due canzoni “Roma Capoccia” e “Dalla pelle al cuore”, poi sono scappato dal palco perché lui doveva cantare “Grazie Roma”, ma io non ci volevo stare (ride, ndr).

La scrittura, nella tua carriera, non l’hai messa solo in musica, ma hai scritto anche due libri, un’autobiografia e una storia ambientata a Roma…

Sì, il primo libro “Non odiare me” l’ho scritto per raddrizzare un po’ il tiro, per fare un po’ di pulizia dopo la mia esperienza in televisione, perché tante persone si erano accanite contro di me e volevo raccontare la mia verità. Le persone lo hanno apprezzato e ogni tanto me lo vado a rileggere anche io, per ricordarmi chi sono. E poi ho scritto “Novocaina”, un romanzo ambientato a Roma di notte, che parla del disagio giovanile.

Cos’è Roma per te?

Sono rimasto a Roma perché amo Roma e Roma è la mia felicità. L’ho scelta e riscelta anche dopo aver viaggiato tanto. Sarei dovuto andare a Milano, perché si sa, Roma è il cinema, Milano la musica, ci sono palazzi interi dedicati alla musica a Milano. A Roma non c’è uno studio, ma questa è la mia casa.

Una scelta d’amore, che pensi ti abbia penalizzato professionalmente?

Sicuramente. Però ho sempre voluto mettere davanti alla mia felicità professionale quella personale. Devo essere un uomo felice prima di tutto. Il lavoro è importante, ma fino a un certo punto. Io devo potermi svegliare con Arianna, prima ancora dovevo incontrarla e ora che l’ho trovata, ci siamo sposati, abbiamo un cane bellissimo, aspettiamo un figlio, per me questo è il top. La mia felicità è questa, nella mia città.

Hai delle abitudini quotidiane a Roma?

Ogni mattina devo uscire in scooter, salutare gli amici, andare dal macellaio di fiducia, fare la spesa al Mercato Trionfale, faccio le cose che si fanno in tutte le città, ma che a Roma sono più caratteristiche. La mattina al bar, due parole sulla Lazio, sulla Roma, due prese in giro. Mi piace vivermela Roma, è una città dove si sta bene, c’è un clima incredibile. È vero, la gente è un po’ stressata, ma felice e molto simpatica. Roma è una città stupenda, la gente è meravigliosa, ‘stamo un po’ bruciati’, su di giri, ma è sempre bella. E poi è una città dove sono rimasti i romani, il popolo autoctono. 

E una cosa che, ogni volta, ti sorprende di Roma?

Che mi posso perdere nel centro storico. Che magari parto da Fontana di Trevi o da qualche altro luogo più noto e mi perdo a piedi nei vicoli e mi stupisco quando mi raccapezzo e scopro ogni volta qualcosa di nuovo. Questa è una delle mie cose preferite. 

Un posto del cuore?

Amo correre a Villa Ada. Vivendo in Prati è un po’ fuori mano, ma secondo me è la villa più bella di Roma. Ci vado apposta perché mi toglie il fiato e poi correre mi sistema un po’ la mente. 

Il grande amore con Arianna è nato a Roma?

Arianna l’avevo vista nelle storie Instagram di Diana Del Bufalo, con cui siamo amici e gli ho rotto le scatole per conoscerla. Ci ho messo un mese. Poi abbiamo organizzato una cena di gruppo, finalmente l’ho vista e ci siamo innamorati subito. Dopo la cena siamo andati a bere una birra, anche se Arianna è astemia…alla fine ho bevuto anche la sua (ride, ndr). 

C’è un luogo di Roma dove vi piace andare con Arianna?

Il posto del nostro cuore è lo Zodiaco, un luogo d’infanzia per entrambi, che siamo vissuti vicini anche se non c’eravamo mai visti. Lì abbiamo ricordi da bambini e poi lo abbiamo iniziato a frequentare insieme, per le nostre passeggiate con Baires, il mio (ora nostro) Labrador. 

Chi è Briga oggi. Se sei soddisfatto di quello che sei diventato? O tornando indietro c’è qualcosa che non rifaresti?

Rifarei tutto, perché tutto è servito per arrivare dove sono, per diventare chi sono, per acquisire più consapevolezza, per imparare soprattutto dagli errori. Ogni tanto sento il peso delle cose che faccio, perché non riesco a perdonarmi facilmente, ma rimpianti non ne ho. Sono felice della persona che sono diventata, perché il mondo in cui vivo e con il quale mi guadagno da vivere è una grande novità per me e per tutta la mia famiglia. Non sono stato mai raccomandato, mi sono inventato da zero, nella mia famiglia nessuno sapeva da dove cominciare e non sono mai sceso a compromessi in un mondo molto difficile. Vado avanti con ottimi risultati da indipendente vero e di questo vado fiero.

In attesa del tuo primo figlio, che papà ti auguri di essere?

Sono molto sensibile, se sarà maschietto spero di riuscire a condividere le cose che in passato ho condiviso con mio padre, a partire dalla grande passione per il calcio. Se sarà femmina sarò capace di entrare nella sua sfera femminile perché sono cresciuto con due sorelle e con mia madre in casa, in più il mio pubblico è formato all’80% da donne, io scrivo alle donne, le racconto. Vorrei donare loro la tecnologia il più tardi possibile, vorrei fossero educati alla creatività e all’interattività con i giochi, con la materia, con il legno, con le forme, con i lego, con gli animali, con la natura, in un contesto comunque urbano.

Pensi che Roma sia la città giusta dove far crescere tuo figlio?

Penso che Roma sia una città meravigliosa ma anche molto difficile, che gli manchi un po’ la misura dell’uomo. Per noi non è facile cambiare città, ma avendo viaggiato tanto, soprattutto fuori dall’Italia, so che ci sono dei Paesi che hanno veramente una marcia in più per la qualità della vita. Qui mancano tante cose, dalle strutture ai servizi. Abbiamo tante eccellenze ma che non ti aiutano a crescere meglio un figlio. Non è che un figlio lo porti tutti i giorni a vedere i monumenti, tanto per dirne una. L’istruzione, poi, è eccellente, ma le scuole cadono a pezzi, non stanno al passo con i tempi, che non hanno i servizi, non ci sono palestre, non ci sono aule computer, è un sistema d’istruzione desueto.