Salotto con poltrone azzurre, sedie gialle, tavolo bianco e beige e un caneIl living della casa. Foto Marco Argüello per Living

Conflittuale e risoluta, stratificata nei riferimenti e chirurgica nei risultati. Spigolosa, ma conviviale. Visionaria, ma pragmatica. Colta e istintiva. Perennemente in bilico tra la possibilità di corrugare i lineamenti in esplicita espressione di dissenso o di elevarli in uno stato di grazia assertivo. Ordinatamente caotica: il temperamento dell’artista Goshka Macuga – di origine polacca e residente da tempo a Londra – potrebbe essere definito per paradossi tutti perfettamente integrati nel suo essere e nella sua visione della realtà che commenta, implacabile e generosa, in opere multidimensionali che da decenni si sono conquistate domicili temporanei e residenze permanenti, dalle biennali internazionali ai musei più eloquenti, da Documenta a Kassel ai festival indipendenti.

Proprio durante uno di questi ultimi faceva allegoricamente atterrare nel 2015 sulla roccia picea a strapiombo sul mare di Stromboli il suo alieno argenteo con l’incarico di campionare tracce di un’umanità destinata all’estinzione. Un monologo recitato da un attore in carne e ossa che credo sia valso come precedente a quello algoritmicamente elaborato dal suo androide con il volto del fidanzato Nabil in occasione della sua personale alla Fondazione Prada di Milano nel 2016.

A distanza di quasi dieci anni, quell’immagine – una figura straniera, in qualche modo tragicomica, che tocca terra con cautela, cercando un modo obliquo per abitare il pianeta – sembra tornare in filigrana nella casa che l’artista ha fatto costruire a Citera, isola greca a sud del Peloponneso, al largo del Capo Malea e a margine delle rotte più battute delle Cicladi e delle Ionie. Anche questa casa realizzata con maestranze locali, incluso l’architetto Andreas Mariatos, sembra atterrata da un altrove. Un volume grigio brutalista e poroso in cemento che si distingue da qualsiasi altra architettura dell’isola.

Non c’è traccia del bianco calcinoso né degli infissi blu che dominano le casette del litorale. Non ci sono curve morbide, scale cerimoniali o patii soleggiati. È un oggetto autonomo, quasi difensivo che echeggia certi volumi e certi aspetti della Neue Nationalgalerie di Berlino di Mies van der Rohe, dove l’artista ha esposto nel 2007 per la quinta Biennale di Berlino. Una navicella silenziosa che ha aborrito l’idea di conquistarsi un posto fronte mare e ha preferito porsi al riparo sulla cima dell’isola, nascosta in un lieve avvallamento naturale. La si potrebbe chiamare un rifugio, ma è troppo pensata per esserlo davvero: si affaccia sul paesaggio con vetrate ampie; osserva il mare da lontano, senza inseguirlo.

La villa dall'esterno situata nell'entroterra dell'isola di CiteraLa villa situata nell’entroterra dell’isola. Foto Marco Argüello per Living

Lì, in quella posizione panoramica e contemplativa, Macuga ha fatto atterrare non solo un’idea di casa, ma anche una forma di pensiero. È difficile non collegare questa architettura a uno dei suoi padiglioni en plein air più emblematici, quello realizzato per l’opera Co-operation Between Thinkers (2011), un’installazione composta da blocchi modulari di cemento che integrano un grande tavolo centrale pensato per ospitare discussioni, riunioni, scambi di idee. Un gesto che già si ritrovava nell’opera The Nature of the Beast (2010), un altro grande tavolo circolare in collezione al Castello di Rivoli destinato a raccontare la storia travagliata del Guernica e delle sue riproduzioni e ad aprire un serrato dibattito sul ruolo dell’arte nella storia e nella propaganda.

La casa di Citera riprende quell’impulso assembleare, ma lo trasforma in qualcosa di più intimo: un’architettura che non invita alla raccolta pubblica, ma alla sedimentazione privata. Non è un salotto per ospiti, ma un osservatorio. Non un monumento, ma un punto di appoggio temporaneo. Eppure radicato, disassato, defilato, ma mai cieco.

Camera da letto con letto matrimoniale, un quadro appeso alla parete e due sedie di legno ai lati del letto come comodiniLa camera da letto. Foto Marco Argüello per Living

Anche qui il tavolo ha una posizione centrale ed è stato realizzato dall’amico designer di fama internazionale Michael Anastassiades, lo stesso che ha progettato l’illuminotecnica dell’intera abitazione composta da stanze polivalenti. La camera degli ospiti, per esempio, incorpora, disinibita, il secondo bagno a vista, un possibile studio e una vasca non solo ornamentale. Lo specchio è un esplicito omaggio all’acquaforte di Marcel Duchamp The Oculist Witness (o Witnesses), 1965-1966, un invito a osservare e a riflettere sulla natura del vedere e dell’interpretare le immagini. Di fronte è appeso l’arazzo realizzato da Macuga in occasione dei 100 anni del Bauhaus nel 2019, che ripercorre attraverso un elenco esaustivo tutte le accuse politiche rivolte alla scuola durante le direzioni di Walter Gropius (1919-1928), Hannes Meyer (1928-1930) e Ludwig Mies van der Rohe (1930-1933), tra le quali bolscevismo artistico, infiltrazioni marxiste, centro di degenerazione culturale e di propaganda sovversiva.

A proposito di Karl Marx è presente il calco in poliuretano del suo volto tradotto in un amabile vaso posto su un coffee table in prossimità di una delle svariate finestre che si affacciano sul vasto orizzonte esterno e di questo anticipa e trattiene qualche elemento vegetale. Lui, come il volto di Alix Strachey (traduttore di Freud), fa parte di una serie di sculture realizzate nella seconda metà degli Anni 10 in cui le teste mozzate dei principali pensatori della storia, secondo il Vangelo di Macuga, sono messe in collegamento tra loro come particelle di un atomo espanso o, in alternativa e questa volta singolarmente, si traducono in vasi per una rapida visualizzazione dei loro pensieri intricati ridotti a intramontabili fiori di campo.

Scorcio di un salotto, tenda beige, grossa vetrata sulla sinistra.Uno scorcio del living. Marco Argüello per Living

Altrove invece nella residenza estiva dell’artista tracce in divenire della serie di dipinti dedicati ai cataclismi della natura e dell’umanità, gli stessi che sono stati di recente esposti alla galleria Vistamare di Milano e nella mostra d’arte diffusa Panorama, di scena lo scorso settembre a Pozzuoli. In queste opere, realizzate quasi esclusivamente da questa prospettiva visiva e durante l’estate, l’entropia diventa linguaggio pittorico per raccontare la perpetua danza tra creazione e distruzione. Tele che rifuggono il levigato per indagare e rappresentare le fratture del mondo: guerre, traumi ambientali ed eruzioni. Un’archeologia del presente che intende catturare il momento in cui ogni slancio verso l’altrove può trasformarsi in caduta, ogni ascesa restare sospesa tra ambizione e rovina.

Un razzo che tenta il decollo in un firmamento di esplosioni che si stagliano sul cielo come oscuri presagi è affisso in primo piano in salotto. È l’ultimo discendente diretto del progetto GoNoGo, la scultura realistica di un razzo spaziale a grandezza naturale esposto per la prima volta nella primavera del 2023 nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze e destinato presto ad atterrare permanentemente nella laguna veneziana, sull’isola di San Giacomo, per volontà della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ognuna di queste immagini vale come monito eloquente e commento iconico sui limiti dell’umano desiderio di andare oltre, di conquista e di colonizzazione.

Goshka Macuga al tavolo da lavoro, tavolo in legno con diversi pennelli, lampada blu e quadro appeso alla pareteGoshka Macuga al tavolo da lavoro. Foto Marco Argüello per Living

 

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