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Gaia Piccardi, inviata a Torino

Matteo Berrettini si allena a Torino durante le Atp Finals pronto alla Coppa Davis: «Sto bene e soprattutto sono anche cresciuto, cerco di farmi scivolare le cose negative. Il nostro gruppo è coeso»

TORINO Il guerriero è tornato. Matteo Berrettini si allena a Torino durante le Atp Finals, in cima all’ennesima stagione funestata da contrattempi, con lo scopo di lenire le ferite grazie al balsamo della Coppa Davis. A 29 anni, con un meraviglioso avvenire alle spalle ma ancora qualche bella soddisfazione da prendersi, si sforza di guardare lontano: «Invecchiare non è bello, poi guarda sti capelli: diventano sempre più ricci! Ma non è vero che ogni riccio è un capriccio. Non più…».

Che capricci faceva?
«Mah in campo mi lamentavo, rompevo un po’. Ero meno pronto ad accettare le difficoltà: mi facevo invadere e mi buttavo giù. A questa età, invece, le cose negative me le faccio scivolare addosso. C’è da dire che non ho mai avuto paura di rimboccarmi le maniche e mettermi sotto a lavorare».



















































La Davis della settimana prossima a Bologna arriva ancora una volta come un prezioso elisir.
«La Davis è tutto. Bagnoschiuma, shampoo, balsamo… Per me è un obiettivo, un onore, un’emozione. L’anno scorso la Davis è stato lo stimolo che mi ha fatto ripartire: volevo tornare in quella squadra, volevo riprendermi le belle emozioni, volevo esserne parte attiva. E l’ho vinta. Quest’anno la stessa cosa. Quando l’estate scorsa mi sono fermato, mi sono chiesto: perché dovrei ricominciare a giocare, una volta rimesse a posto le questioni fisiche? Per divertirmi, certo, per godere di questo mondo caotico e bellissimo, per ritrovare un po’ di gioia; e per giocare la Coppa Davis a fine stagione. Ora che ci siamo, vediamo di fare bene a Bologna».

Mancherà Sinner, Musetti potrebbe rinunciare per raggiunto limite di stanchezza. Sarà un test strutturale per l’Italia, quella che resta.
«La cosa bella è che, venuti a sapere dell’assenza di Jannik e, forse, di Lorenzo, nessuno di noi si è guardato dicendo: e adesso come facciamo? Non c’è paura, non tremiamo. Non c’è alcuna tensione. Siamo tutti giocatori esperti, Vavassori e Bolelli stanno giocando benissimo in doppio, Cobolli sta avendo la miglior stagione della sua carriera, Sonego e Darderi sono signor tennisti e io, da parte mia, mi sento di poter garantire il mio apporto. Il numero uno in squadra fa comodo a tutti ma a Bologna venderemo la pelle. Saranno finali di Davis molto equilibrate ma in azzurro ci trasformiamo tutti».

Sinner ha raccontato di aver giocato in azzurro nel 2024 per mantenere una promessa fatta a lei, Matteo. In squadra siete tutti amici: è questo il valore aggiunto dell’Italia?
«Sì, oltre alla forza dei singoli. Nel 2023, dopo essermi rotto la caviglia a New York, ho chiamato il c.t. Volandri e gli ho detto: Filo io mi sento che devo venire a dare supporto, una scossa. E lui: vieni quando vuoi. Mi ricordo ancora le facce dei ragazzi quando sono entrato in spogliatoio. C’è stato il cambio di marcia di cui c’era bisogno. L’energia che ci unisce tutti è uno sei segreti della nostra Nazionale».

Ma lei come sta?
«Mentalmente e come lettura della partita mi sento maturo e più bravo di tanti anni fa. L’altro giorno parlavo con il mio coach, Alessandro Bega, e ragionavamo: nonostante gli infortuni, nonostante i tornei saltati quest’anno, resto comunque nei top 50. C’è di peggio. Ci sono state cose molto positive, finché non ho avuto ancora un problema agli addominali. Sono ripartito da lì, dalle vittorie sui top 10, dai quarti di Miami, dalle vittorie a Montecarlo. Io sono sicuro che ci sono ancora cose buone che posso fare in questo sport. Sinner non è certo l’obiettivo: è troppo grande e alto, per me. Ma se sto bene, rispettando il mio corpo e la mia testa, so di poter dare ancora al tennis».

È un momento di equilibrio tra tennis e vita privata?
«Mai come oggi quell’aspetto di equilibrio e benessere è importante. Il tennis non è tutto. Avere pause capita a tutti. Ero arrivato a un certo punto in cui mi sentivo un po’ soffocato, ho dovuto prendermi cura di questo aspetto. Continuare a giocare non è la soluzione. È importante fermarsi e respirare, dando priorità alle cose importanti».

Tornare alle Finals, dove fu maestro titolare nel 2021, le dà carica? In quell’edizione fu costretto a ritirarsi per infortunio.
«La più grande delusione della mia carriera, a livello emotivo. Questo è un torneo che devi meritarti, paga il lavoro di una stagione intera. Quello era il primo anno in Italia: dover rinunciare è una ferita che non si è mai chiusa del tutto. Però tornare al palazzetto, rivedere il campo, incrociare Jannik e i top players mi darà una spinta per la Davis e per il futuro. Non sento che, per forza, devo tornare qui, tra i migliori otto. Ma sento che faccio ancora parte di questo mondo, e questa sensazione mi fa bene».

Sinner e Musetti tengono alta la bandiera, nel frattempo.
«Jannik è pazzesco, ha una centratura sulle cose che mi impressiona. Con Zverev è partito così così, poi ha trovato la concentrazione, ha ingranato la marcia e non si è fatto più prendere. Un esempio luminoso per noi tutti, da seguire. Lorenzo con De Minaur è stato bravissimo, ha recuperato una partita che sembrava persa due o tre volte. Un grande aiuto gliel’ha dato il pubblico. Se si fosse giocato a Londra, e non a Torino, forse finiva diversamente. Ma lui lo sa».

È quasi trentenne: pensa al futuro post-tennis, Matteo?
«La testa va avanti, sono curioso, vedo moltissime possibilità davanti a me. Così tante che, oggi, non ho le idee chiare. Credo che il tennis sarà sempre parte integrante della mia vita: non so se da allenatore, spettatore, tifoso. So che colpire la pallina è ciò che mi fa sentire più vivo. Qualche mese fa ero in difficoltà, mi sono allenato con Jannik a Montecarlo e mi sono sentito subito meglio, più sereno. Giocare a tennis mi rende libero, non so come spiegare. Quando sarà il momento cercherò di capire come trasformare questa sensazione in un futuro».
Da capitano di Davis, magari?
«Sarebbe bellissimo. Ora c’è Volandri che sta facendo un lavoro egregio. Magari a 60-65 anni, quando smetterò».

13 novembre 2025