di
Martina Zambon

Verso il rinnovo del governatore, tensioni sulla lista Zaia. E il presidente del Friuli-Venezia Giulia Fedriga: «Niente election day»

Il Veneto alla Lega anche se restano le tensioni sulla lista Zaia che non avrebbe ancora il via libera degli alleati. E non ci sarebbe ancora certezza nemmeno sul futuro al governo del presidente veneto. Sembra sfumare, infatti, l’ipotesi di un rimpasto per fare posto a Zaia in consiglio dei ministri anche se fonti Lega sostengono che i big concordano sulla necessità di attribuirgli un incarico nazionale.
Comunque sia, al nuovo vertice dei leader di centrodestra, la soluzione più accreditata per iniziare a sciogliere il rebus Regionali partendo dalla casella più complicata, il Veneto, sarebbe quella di lasciare alla Lega il candidato. Una scelta sofferta per Giorgia Meloni che se arrivasse a seguire questa strada, lo farebbe anteponendo la «ragion di coalizione» anziché quella di partito. In una lunga serata romana fatta di location segrete, bocche cucite e tensione alle stelle, filtra poco, pochissimo, su quanto si sono detti Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi. Si sa che i quattro si sono riuniti lontano da orecchie indiscrete a casa Meloni. La premier, del resto, lunedì ha dedicato allo spinoso dossier del voto d’autunno parecchie ore. Un incontro da segnalare, su tutti, è quello con Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia ma anche della Conferenza delle Regioni. All’uscita da palazzo Chigi, Fedriga ha confermato che l’ipotesi di un election day è tramontata (di lunedì l’accelerazione dell’uscente marchigiano Francesco Acquaroli per il voto a fine settembre).

La roccaforte e le lotte fratricide

E anche questo è un punto fermo. Nessuno slittamento a primavera, nessun election day. Significa che ora il tempo stringe davvero per il centrodestra che deve blindare la roccaforte veneta fin qui dilaniata da lotte fratricide. È tempo di decidere e le previsioni si starebbero avverando: fra i tre litiganti deciderà lei, la premier. «Meloni potrebbe aprire all’ipotesi di non rivendicare la candidatura per Fratelli d’Italia e lasciando Palazzo Balbi alla Lega. Ma, viene riferito, la premier sarebbe contraria alla lista Zaia o a un eventuale riferimento all’ex governatore nel simbolo della Lega» batte l’agenzia di stampa Agi alle 21.44. E per la Liga sarebbe una buona notizia, non fosse per quella condizione non negoziabile che estromette Zaia dalla corsa, seppur indiretta per palazzo Balbi e palazzo Ferro Fini. Senza il formidabile traino del governatore uscente, la Lega rischia di replicare le performance non esaltanti di Politiche ed Europee con un 14% che, governatore o meno, la renderebbe «ostaggio», nei fatti, degli azionisti di maggioranza di FdI.



















































Il «prescelto» e l’asso nella manica

Qui potrebbe giungere in soccorso la tela ordita pazientemente fin da gennaio da Alberto Stefani. Il segretario regionale, che potrebbe essere proprio il «prescelto» per la successione a Zaia, continua a lavorare alacremente a un capillare meccanismo di raccolta voti imperniato sull’esercito di amministratori leghisti radicato sul territorio. Certo, l’asso nella manica resta la lista Zaia e il titolare lunedì diceva «non è lesa maestà chiedere che la lista Zaia ci sia». Eppure pare che l’assenza di quest’ultima sarebbe il prezzo da pagare se dovesse andare in porto lo schema per continuare a puntare su un candidato leghista in Veneto.
Intorno alle 22.30, una nota congiunta descrive «un clima di grande cordialità» e la conferma che «si è iniziato a ragionare in modo costruttivo sui candidati alle prossime elezioni regionali, con l’obiettivo condiviso di individuare figure autorevoli e vincenti» ma, il tavolo è aggiornato alla settimana prossima. E c’è da scommettere che il futuro di Zaia continuerà a essere cruciale. L’idea di fargli spazio in Cdm non sembra trovare riscontri.

L’impressione di una svolta

Ma allora in nome di cosa Zaia dovrebbe rinunciare a presentare la sua lista? Per amor di partito, per sostenere quell’erede che, nel caso fosse davvero Stefani (e non il presidente dell’Anci e sindaco di Treviso Mario Conte, spesso evocato in questi giorni come altro nome papabile), libererebbe un seggio a Montecitorio per il governatore uscente. Un periodo alla Camera per arrivare alle prossime Politiche (si vocifera di un anticipo a primavera 2027) come nome forte da spendere nel nuovo esecutivo.
Ipotesi che, ancora, non trovano un riscontro ufficiale e, spiegano i naviganti di lungo corso, ci vorrà qualche altro giorno. L’impressione, però, è che l’incontro carbonaro di lunedì sera abbia segnato una svolta. Lo conferma Tajani che, prima del vertice, confermava: «Si parlerà di nomi. Vedremo, FI ha i suoi, ha le sue proposte, le sue idee, ma andremo uniti».


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22 luglio 2025