«Nuto Revelli. Immagini dell’Anello forte: la donna e il mondo contadino» è la mostra en plein air del fotografo Bruno Murialdo che verrà inaugurata sabato (15 novembre), alle 16,30, in piazza Virginio a Cuneo. Rimarrà esposta fino al 3 dicembre. Nei volti delle donne l’eco dei racconti di Nuto Revelli.
Molte volte, mentre eravamo in giro per le Langhe o in montagna a raccogliere testimonianze, Nuto mi ha raccontato la sua storia: la memoria dell’ultimo fronte e della «strada del davai…».
«Se chiudo gli occhi – raccontava – e penso a quelle pianure imbiancate, mi sembra di vederle ancora davanti a me: immense, senza fine, coperte da una neve che non era solo freddo, ma dolore, silenzio e morte. Un vento tagliente ci attraversava l’anima, portandoci via un pezzo di forza a ogni soffio. In quella distesa bianca e infinita avanzava la nostra colonna, una tra le tante, in marcia continua verso la salvezza. Eravamo soli, come bambini abbandonati al gelo, lontani da casa, sbandati, senza più comando né speranza. Negli occhi dei compagni non c’era più vita: cadevano uno dopo l’altro, come mosche, su quella pianura gelata. Li vedevamo sparire nella neve, ma non potevamo fare nulla: solo andare avanti. Eravamo soli, accerchiati, con la certezza che la morte ci avrebbe raggiunti da un momento all’altro. Qualcuno, prima di cadere, trovava ancora la forza di chiamare la mamma o pregare Dio, mentre il freddo lo inghiottiva nella sua morsa».

La mostra allestita in piazza Virginio
Il dramma della ritirata
E ancora: «La ritirata fu un inferno al quale dovevamo abituarci per non impazzire. La notte, su quella distesa ghiacciata, non si poteva dormire: chi si fermava moriva. Dovevamo muoverci sempre, stanchi, affamati, in lacrime. L’unico conforto erano i sogni a occhi aperti o le rare fotografie di famiglia che stringevamo al petto, sapendo che forse non l’ avremo mai più rivista. Io sono sopravvissuto, per fortuna. Sarebbe bastato un piccolo incidente per restare laggiù. Ho fatto la ritirata con un gruppo dei miei alpini: un gruppo unito. Ci siamo aiutati fino all’ultimo passo. Ho sofferto molto, ma sono tornato a casa. Uscire vivo da un inferno così ti lascia dentro troppe domande. Dov’era l’umanità? I volti dei ragazzi morti ai bordi di quella distesa di gelo mi perseguitano ancora oggi, come fantasmi».
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BRUNO MURIALDO
12 Settembre 2025
Come in un film, rivedeva le immagini di quella maledetta sacca, «Poi, però, è prevalso il bisogno di raccontare, di gridare al mondo ciò che avevamo vissuto, perché non accadesse mai più. Tornammo a casa con l’anima ferita, il cuore a pezzi e un’avversione profonda verso chi ci aveva mandati a morire». Dal racconto di Nuto si capisce che la storia, purtroppo, non si impara mai. Oggi la guerra bussa di nuovo alle nostre porte. La crudeltà e l’odio continuano a farsi strada nelle società. Forse l’uomo non ha ancora raggiunto la maturità necessaria per fermare la violenza… o forse non la raggiungerà mai.

Le donne sono le protagoniste de «L’anello forte» (foto Bruno Murialdo)
Il monito contro la guerra
«Sono tornato a casa – raccontava Nuto – con un peso sul cuore per i dispersi che non hanno potuto riabbracciare le loro famiglie, le madri, le fidanzate. Quando sono tornato in città, non ho più trovato la mia generazione: erano quasi tutti scomparsi, inghiottiti dalla guerra. Il fascismo diceva che morti e dispersi erano prigionieri in Russia, ma sapevano bene che non era così».
Nuto parlava con la paura che la storia potesse ripetersi. E non aveva torto. Oggi sembra che la memoria abbia cancellato quella tragedia e che ci si prepari a rivivere un’altra stagione buia. Revelli ci ha avvisati: «Teniamo accesa la memoria, perché se la spegniamo saranno guai». Ripeteva spesso: «In ogni ufficio dei nostri politici, e in quello del Presidente della Repubblica, vorrei che ci fosse un cartello con scritto: 8 settembre. Un monito contro la guerra. Il partigiano in montagna è stata la mia rivincita, la Resistenza è nata con uomini valorosi che hanno deciso di non arrendersi, di unirsi, di reagire. Io ho sempre diffidato della politica, ma ho creduto negli uomini. Sono stato ferito, ma ce l’ho fatta ad arrivare a Cuneo, il 28 aprile, per la Liberazione». Nuto parlava con il cuore ferito. Quella guerra, quel ghiaccio, quel dolore erano un martirio continuo. Ma lui non si è mai arreso.