di
Sara Gandolfi

Con l’arrivo della portaerei Usa Gerard Ford, Caracas schiera unità militari in 280 punti per una «resistenza prolungata»

DALLA NOSTRA INVIATA
BELÉM – Torna altissima la tensione nei Caraibi con l’arrivo della mega-portaerei americana Uss Gerald Ford, la più grande ai comandi del Pentagono, che sta per raggiungere il suo gruppo d’attacco, composto da oltre quattromila marinai e decine di aerei da combattimento. «Sono ore decisive per il mio Paese, quello che sta succedendo non è solo un fatto nazionale, ma un punto di svolta per tutta l’America latina», ha assicurato ieri dalla clandestinità la leader dell’opposizione e premio Nobel per la Pace Maria Corina Machado, collegandosi in videoconferenza con un evento a Miami.

Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro, che gran parte della comunità internazionale non riconosce come tale dopo i brogli delle ultime elezioni, ha reagito mobilitando l’esercito e i «volontari»: oltre 200 mila uomini, secondo Caracas, molti meno, secondo le stime degli analisti. Il ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, figura chiave del regime para-militare che governa il Paese, ha dichiarato lo stato d’allerta generale mentre è stato attivato il piano di difesa integrale per proteggere «infrastrutture sensibili come elettricità, acqua, gas, scorte alimentari, stazioni di servizio, trasporti e le principali vie di comunicazione».



















































Il Venezuela si starebbe preparando a una invasione americana, imitando la strategia di guerriglia diffusa che ebbe successo in Vietnam. Secondo quanto riferito dalla tv di Stato, Caracas è pronta a una «resistenza prolungata», con piccole unità militari impegnate in azioni tattiche e di sabotaggio in oltre 280 punti del vasto Paese. Nella regione tornano paure e minacce da Guerra fredda: Mosca, alleata strategica di Caracas, ha inviato le prime consegne per rafforzare i sistemi aerei del Venezuela.

Le Nazioni Unite hanno espresso «profonda preoccupazione» per le tensioni fra Stati Uniti e Venezuela, auspicando un’iniziativa diplomatica che porti a una de-escalation. E preoccupazione si respira da giorni anche al vertice dell’Onu sul clima in corso a Belém, in Brasile, dove martedì il governatore democratico della California, Gavin Newsom, ha aspramente criticato i bombardamenti ordinati dal presidente Donald Trump su presunte imbarcazioni narcos, che hanno provocato la morte di almeno 76 persone al largo delle coste del Venezuela. «È stato agghiacciante vedere l’esercito statunitense far esplodere navi senza alcuna trasparenza, senza consultarsi ed avere il consenso del Congresso degli Stati Uniti. Che fine ha fatto il giusto processo? Che fine ha fatto lo Stato di diritto?», ha detto il governatore che forse già guarda alle presidenziali del 2028.

Maduro, nel tentativo di trovare nuove sponde internazionali, ieri ha indirizzato una lettera aperta ai capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi, riuniti in Colombia, nella quale denuncia le minacce che incombono sulla sovranità del Venezuela e lancia un appello affinché si uniscano gli sforzi in difesa dell’America Latina come zona di pace. «Il Venezuela non accetterà nessun tipo di controllo» scrive Maduro. «Non accettiamo che sotto eufemismi come “sicurezza” o “lotta al narcotraffico” si cerchi di imporre la vecchia Dottrina Monroe, che mira a trasformare la nostra America in teatro di invasioni e colpi di Stato per “cambiare regime” e rubare le nostre immense ricchezze e risorse naturali». 

13 novembre 2025 ( modifica il 13 novembre 2025 | 07:05)