di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Gli Stati europei anticipano la fine dell’esenzione doganale per i pacchi sotto i 150 euro. Misura pensata per arginare l’ondata di spedizioni dalla Cina e tutelare il commercio locale

Con una decisione che a Bruxelles definiscono «attesa, urgente e finalmente condivisa», gli Stati dell’Unione europea hanno approvato l’abolizione dell’esenzione dai dazi per i mini-pacchi sotto i 150 euro, oggi il canale privilegiato del boom dell’e-commerce extra-Ue. L’idea – anzi, la pressione politica – è di far scattare la stretta già dal 2026, due anni prima del debutto ufficiale previsto dalla riforma doganale dell’Unione. Un’accelerazione che fotografa la preoccupazione crescente per quel torrente di scatole leggere, soprattutto cinesi, che ogni giorno oltrepassa i confini europei senza quasi lasciare traccia.

Giorgetti: «Così salviamo il dettaglio»

Giancarlo Giorgetti, uscendo dall’Ecofin, si presenta con un’espressione che non lascia dubbi: «Siamo soddisfatti. È un fenomeno che sta distruggendo il commercio al dettaglio». Il ministro italiano mette l’accento su quello che gli operatori denunciano da anni: un sistema dove i colossi dell’e-commerce internazionale sfruttano la franchigia sui pacchi a basso valore per invadere il mercato europeo di prodotti ultra-economici, con margini e controlli difficilmente replicabili da chi vende nel quartiere sotto casa.



















































L’invasione dei mini-pacchi cinesi

La fotografia dei numeri, del resto, basta da sola: nel 2024 sono entrati nell’Unione 4,6 miliardi di articoli sotto i 150 euro, e il 91% di questi proveniva dalla Cina. Cifre che in Commissione definiscono «non gestibili», sia per i controlli di sicurezza sia per l’equilibrio del mercato. Ursula von der Leyen parla di «passo fondamentale», mentre la ministra danese Stephanie Lose, che presiede il Consiglio, ha tagliato corto: «Aspettare il 2028 sarebbe troppo tardi. Bisogna fare qualcosa prima. Il problema è enorme».

Gli Stati si muovono in ordine sparso

L’accordo politico c’è, ma il percorso resta tortuoso. Il nuovo Data Hub doganale – il cuore digitale della riforma – non sarà pronto prima del 2028, e nell’attesa bisognerà immaginare una soluzione provvisoria: forse tariffe medie, forse una flat fee, forse un sistema ibrido, con la Commissione impegnata a verificare la compatibilità con le regole del Wto. Gli Stati, intanto, si stanno muovendo in ordine sparso: Romania e Polonia ipotizzano una tassa di gestione, mentre in Francia si discute un prelievo interno che ricalcoli i costi del trattamento doganale, anche alla luce della pressione esercitata dal caso Shein, finito sotto la lente di Parigi.

Consumatori e negozi: chi paga davvero?

Dietro ai tecnicismi resta la posta politica. L’Europa vuole dare un segnale ai propri dettaglianti, rassicurare l’industria che chiede «parità di condizioni» e recuperare parte di un gettito che oggi sfugge ai bilanci pubblici. Ma la questione non riguarda solo il portafoglio: c’è il tema della sicurezza dei prodotti, della tutela del consumatore, del rispetto degli standard europei in materia di imballaggi, ambiente, trasparenza. Il conto finale lo faranno commercianti e consumatori: i primi sperano in una boccata d’ossigeno, i secondi potrebbero scoprire che quel vestito o quello smartphone acquistati a poche decine di euro non arriveranno più a casa con la stessa leggerezza di prima.

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13 novembre 2025