Quasi un miliardo di barili di petrolio galleggia attualmente negli oceani del mondo a bordo di petroliere senza acquirenti. Lo riferisce Bloomberg, che collega la crisi alle sanzioni occidentali imposte contro Russia, Iran e Venezuela. Negli ultimi tre mesi il volume di greggio fermo in mare è aumentato del 40%. La maggior parte delle navi appartiene a compagnie che tentano di piazzare petrolio russo e iraniano attraverso circuiti opachi. Ma anche Cina e India, finora tra i principali acquirenti di petrolio scontato, stanno ora riducendo gli acquisti a causa dell’inasprimento delle restrizioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil. Il risultato è un paradosso: Mosca esporta petrolio ma non riesce a venderlo. Le petroliere restano ferme, senza generare profitti. Un problema serio per il Cremlino, dato che le rendite da petrolio e gas costituiscono la principale fonte di finanziamento per la guerra in Ucraina.

Ingorgo marittimo

Secondo Bloomberg, la Russia è il principale responsabile dell’attuale «collo di bottiglia» globale. Dopo gli attacchi ucraini alle raffinerie, Mosca ha aumentato le esportazioni di greggio, ma le sanzioni hanno tagliato fuori molti intermediari. Gli esperti avvertono che l’accumulo di petrolio in mare su scala così ampia potrebbe spingere al ribasso i prezzi mondiali. Più a lungo il greggio resta invenduto, maggiore diventa il rischio di un crollo dei prezzi, con le compagnie costrette a svendere per liberare le navi. «È una bolla di petrolio sull’acqua», sintetizza Bloomberg. Un crollo dei prezzi colpirebbe duramente Mosca, che non dispone delle riserve finanziarie di Arabia Saudita o Stati Uniti per sostenere una crisi prolungata.

Lukoil in caduta

La crisi energetica si riflette anche sui mercati. Le azioni Lukoil sono scese sotto i 5.000 rubli per la prima volta dal 2023, secondo Forbes.ru. Mercoledì, alla Borsa di Mosca, il titolo ha toccato i 4.962,5 rubli, per poi risalire lievemente a 4.976. Il crollo è dovuto alla crescente pressione delle sanzioni statunitensi e al fallimento dell’accordo di vendita di asset esteri. Lukoil aveva infatti annunciato l’intenzione di cedere parte delle proprie attività internazionali alla società svizzera Gunvor, co-fondata dal miliardario Gennady Timchenko, vicino al Cremlino. Ma il Tesoro USA ha bloccato la transazione, negando la licenza necessaria. Secondo il Financial Times, la società rischia di perdere circa 14 miliardi di euro in asset esteri. Il quotidiano britannico riporta anche indiscrezioni su un possibile takeover da parte di Rosneft: il suo amministratore delegato, Igor Sechin, avrebbe più volte proposto una fusione tra le due compagnie.

La spirale

La prospettiva di un controllo di Rosneft su Lukoil alimenta l’incertezza tra gli investitori, già allarmati dal crollo del valore dei titoli e dall’isolamento del settore energetico russo. Se il prezzo del greggio dovesse crollare, Mosca si troverebbe in una spirale pericolosa: esportazioni bloccate, entrate in caduta e un sistema industriale incapace di reggere il peso delle sanzioni.


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