Finalmente i giudici di X Factor 2025 si sono svegliati. Oddio, non tutti. Jake è ancora nella fase del sardonico e conciliante uditore, che a volte si desta per una battuta (che è comunque migliore di tutte quelle di Gabbani).
Mentre Paola litiga con Achille Lauro difesa da Francesco Gabbani, La Furia è decisamente placata, se non fosse che come i bambini sente una parolaccia e si esalta. Ma almeno a quel tavolo si alzano i picchi dell’elettrocardiogramma, finalmente. Va detto che aiuta il fatto che fanno gara a chi la spara più grossa, tipo Gabbani che paragona Viscardi a Chet Baker o Paola a Dee Dee Bridgewater (e Giorgia che con quest’ultima ha duettato, ha quasi un mancamento). A Inglewood pare che dopo quest’affermazione la terra in cui è sepolto il maestro si è così tanto smossa da provocare un terremoto.
Diciamolo, ci sono puntate in cui vorresti vivere in un mondo pensato, disegnato, immaginato, costruito da loro. L’Allianz Cloud è il loro parco giochi e ti viene voglia di dare solo bei voti ai cantanti se guardi alle loro spalle. Una direzione artistica e creativa di livello – va detto, da sempre – che nei live è cresciuta esponenzialmente dopo qualche incertezza iniziale.
X Factor è un grande show, e loro sanno come metterlo su. E mettere in scena i loro protagonisti. Ormai, poi, abbiamo capito che sono dei diesel che decollano definitivamente dalla Giostra in poi. In cui hanno fatto il miracolo di fare una cosa bellissima rendendoci accettabile un product placement che definire aggressivo e invadente è un eufemismo (ovviamente cambierò idea se mi regalerete quel bicchiere kitsch brandizzato).
Quando va sulla Giostra, la fa andare al doppio dei giri, poi decide di schienarci tutti con Bring Me To Life, peraltro con una sterzata all’apice della canzone, cambiando ritmo e tenendo nitida e ferma la voce a tutta velocità e pure in curva. Non sbaglia mai, non perde concentrazione, non lascia un centimetro, Al Pacino in Ogni maledetta domenica sarebbe fiero di lei. E poi che bella è questo scricciolo che diventa una gigante ogni volta che canta?
Ma che bravo. La scorsa settimana passaggio a vuoto, questa prende I giardini di marzo di Lucio Battisti e tu pensi “ora si schianta”. E invece. Il ragazzo, nel cimitero dei grandi classici devastati dagli ego dei giudici e dei concorrenti, la porta a casa alla grande, con un’interpretazione quasi perfetta e soprattutto molto cazzuta, molto sua. E lo sa, tanto che per una volta il nostro giovane vecchio si emoziona, scarica la tensione, sembra umano.
Bravo piccolo.
Anche lui si riscatta. Claudio Baglioni è un vestito che indossa alla perfezione, la cosa buffa è che se canta in italiano non fa saltini, faccette o simili. O almeno non nel modo grottesco delle scorse puntate. Di sicuro è un esecutore di alto livello, così tanto che non te lo immagini un inedito suo. Però sentirlo cantare, soprattutto quando il pezzo lo prende dritto e preciso, è un piacere. Poi ora sta vivendo il momento Gigi La Trottola: prima sembrava buffo, a volte fuori luogo a musica spenta, ora sembra quasi una persona seria, con uno sguardo pure un po’ macho. E io finalmente ho imparato a scriverlo.
PierC Favino, pardon Pierfrancesco
VOTO
7,5
Eccolo, con quel talento che ha lui che fa per l’uscita in sala de Il Maestro? Per inciso: ma che bello è il cinema di Andrea Di Stefano, solido e ispirato nel regalarci ritratti e storie robuste e tenere, di orgogliosi e arruffati perdenti in questa società drogata dall’etica e dall’estetica della vittoria? Insomma che fa PierC Favino? Non ti regala quel Raul Gatti che amerai a vita. No. Si fa pure tutti i podcast (tranne il mio, tacci sua), poi balla il valzer con Giorgia (maledetto!), poi fa il giudice per una manche (e sai che ci si potrebbe pensarci seriamente?). Perché un film non va fatto, va anche amato e sostenuto. E quella giacca, signora mia, che roba. Nella prossima vita voglio essere Pierfrancesco Favino. Ma quanto è figo l’ho già detto?
Allora, quel vestito rosso, mia adorata Giorgia, ti sta da dio (niente male anche quello di Mariasole Pollio – ma gli stivali sono da denuncia – in Ante Factor, che merita sempre una sufficienza abbondante, Paola sta benissimo ma il leopardato modello bodypaint è un’idea più vecchia di me). E non te lo si dice mai abbastanza che brava che sei (pure) a condurre. Giorgia mia. Lei è la dimostrazione plastica che puoi tenere alta l’attenzione (e pure la tensione) rimanendo gentile, garbata come direbbe la mia nonnina se ci fosse ancora. Quando mette fretta ai bimbi Paola e Achille che litigano, è soave. Dice la cosa giusta e poi li guarda stuzzicarsi con divertita insofferenza. Rimaniamo del parere che dovrebbe fare (anche) il quinto giudice. Ci divertiremmo parecchio. L’ho già detto che ieri era più bella del solito?
Ieri poco in palla. L’esperimento folk (t)rap non è male, ma è più tecnica che talento, nella Giostra è scenografia e ripetizione (abbiamo capito il suo punto debole: è l’unicità della performance che la rende entusiasmante, quando rifà perde di presa, è la maledizione dei numeri 10). Ci sta un piccolo passaggio a vuoto. E anzi, è interessante notare come quando non azzecca la serata, è comunque un passo avanti e mai a rischio eliminazione.
Sta reggendo, e non è scontato. Non ha una gran voce, ma sa raccontare con la musica e Io sono Francesco di Tricarico gli sta bene addosso. Forse non andrei a un suo concerto, ma ha una personalità musicale (e non) così definita che probabilmente lo produrrei.
Non ha mai trovato un posto in questo X Factor. Sempre con la paura di sbagliare, tanto che i suoi compagni di squadra ne cronometrano le paranoie. Troppo bella ma troppo fredda, ogni volta che sta sul palco sembra la regina dei ghiacci. La voce ce l’ha, la presenza eccome, però. Però paga probabilmente l’aver avuto Achille Lauro come giudice. Le ha sempre dato pezzi sbagliati, troppo difficili ed emotivi per chi come lei si “accontenta” di cantarla bene, anzi “giusta”. Ha provato a cambiarla perché non ha capito chi fosse davvero. E nemmeno noi. E mi sa manco lei. In una scuola sarebbe la prima della classe. Ma qui siamo a X Factor. E soprattutto: le tre soliste donne classiche sono durate quanto Pioli alla Fiorentina e Juric alla Roma. Però continuano a sceglierle a pacchi.
Un brutto voto che deve condividere con Francesco Gabbani che ha fatto un po’ di tutto per farla eliminare, snaturandone l’animo elettropop. Aveva forse accelerato troppo su quest’ultimo e troppo presto e così ha finito per rincorrere un dimostrare il proprio talento che le ha fatto male. Ha cantato (spesso bene, va detto) canzoni non adatte a lei, che faticava a rendere credibili. Per carità, così è migliorata, ma con il sospetto che non è che gli servirà granché. Da 8, però, il look woman in black (e a momenti Viscardi dopo averla eliminata, la spogliava pure). Detto questo, se fossimo stati a Masterchef, dove si giudica la puntata, usciva Viscardone.
Accusa gli altri giudici di populismo, fa paragoni improbabili – ma dice agli altri che stanno facendo una figuraccia, poi fa una rovesciata carpiata e sostiene che Achille Lauro attacca Viscardi perché gli fa paura, perché potrebbe vincere. Ecco diciamo che se dovesse accadere, potrei persino credere che andremo ai mondiali di calcio l’anno prossimo. Paola, non pensare a difendere i tuoi ragazzi dopo con motivazioni improbabili e capziose. Dagli canzoni adatte prima. Però, lasciatelo dire (visto che tu lo dici a tutte), vestita da uomo tigre sei bellissima.
Credo che La cura di Franco Battiato cantata così si configuri certamente in una nuova fattispecie di reato tra il disturbo della quiete pubblica e il vilipendio. Sento i giudici fargli i complimenti e mi chiedo cosa ho sentito: una voce al limite dell’impersonale laddove il Maestro – Battiato, non Favino – modulava su quella melodia una vocalità che ci faceva amare un testo struggente al limite dello stucchevole, potente quanto paternalista. Lui non interpreta né lo spirito di quel pezzo, né incontra mai l’intensità interpretativa di Franco Nostro che Sei nei cieli, e quando finisce la canzone, neanche te ne accorgi. Di solito tecnicamente le fa bene. Questa volta, neanche quello. L’ha quasi parlata.
Anche lui partecipa al grande concorso “rovina i capolavori del cinema italiano massacrandoli senza remore”. Speriamo che Mina non abbia Sky, lì a Lugano, perché potrebbe non reggere al dolore. I cambi di tono, quel finto jazz d’ascensore, la sua interpretazione che non trova né la profondità emotiva né la densità canora che ci vorrebbe anche solo per avvicinarla, questa canzone, sono un delitto. E un rischio inutile, perché non ci voleva Manuel Agnelli per capire che quest’assegnazione fosse un suicidio. Bastava Achille Lauro, per dire. Che finalmente si sveglia e fa un po’ di casino. E quando Paola prova il colpo basso, si apre un nuovo format: Il processo di Viscardi (grazie Fabio D’Innocenzo. Di esistere). P.S.: niente male il cavallo di battaglia, se non fosse che parte al galoppo e poi improvvisamente, davanti all’ostacolo, si impunta in quel falsetto forzato che rovina metà dell’arrangiamento. Persino Prince, che è la cosa migliore che ha fatto qui, gli riesce bene come l’altra volta.