di
Barbara Visentin
Esce solo in formato fisico «Non ho paura di niente», decimo album di inediti del cantautore romano
Il titolo del disco, «Non ho paura di niente», serve a darsi forza, spiega Fabrizio Moro: «Nasce dalla voglia di riprendere in mano la mia vita dopo un periodo in cui sono stato particolarmente sfiduciato, un po’ per il post-Covid, quando non si poteva suonare, che mi ha depresso l’anima, un po’ per il cambiamento epocale della musica».
A 50 anni l’artista romano spiega infatti di sentirsi «un po’ fuori dal tempo», benché ancora giovane: «Sono cresciuto in cantina suonando rock e non riesco a vivere bene la velocità, i discografici che ti chiedono quanti streaming fai, oppure il dare un pezzo agli influencer per farlo diventare virale. La modernità ha fatto paura in ogni epoca, ma credo che questo sia un momento di saturazione eccessiva».
Così, questo suo decimo lavoro esce solo in formato fisico, cd e vinile (in streaming ci sono per il momento solo tre brani) seguito da un tour che prende il via il 2 maggio dell’anno prossimo dal Palazzo dello Sport di Roma. Nel mezzo potrebbe tornare a Sanremo? «Questa volta ormai no, ma al Festival ci penso tutti gli anni, è un contesto che mi ha dato tanto e che continuerò ad amare per sempre – dice Moro, emerso proprio all’Ariston, nel 2007, con «Pensa» e vincendo poi anche in coppia con Ermal Meta nel 2018 -. Oggi ho però una sorta di paura perché Sanremo è cambiato molto, è diventato più spettacolo televisivo e meno tradizione della canzone italiana e ho la sensazione che non basti più avere una bella canzone».
Nei nove brani dell’album Moro si guarda dentro, trovando un’ispirazione «che nasce dalla frustrazione», spiega: «Ogni disco è difficile per me, la mia paura più grande è quella di perdere la creatività, cioè quel che mi ha salvato da una vita che non volevo fare». Molte canzoni parlano d’amore, «specie di amori finiti, con una punta di rammarico perché credo di aver sacrificato molte storie importanti in nome della libertà», mentre in «Simone spaccia» il cantautore romano torna ad alzare lo sguardo: «Uso spesso personaggi che ho conosciuto veramente per raccontare il contesto in cui sono cresciuto e in cui in parte ancora vivo – spiega -. Continuo a osservarlo soprattutto perché c’è mio figlio di 17 anni che ha deciso di crescervi, ma spero abbia preso solo in parte da me».
Guardandosi indietro, Moro ritrova un adolescente abbastanza turbolento: «Ho avuto una vita piena di alti e bassi, ho provato un po’ tutto e adesso da genitore ho paura. Cerco di essere più onesto possibile con mio figlio, senza negargli di scoprire le cose attraverso se stesso. Per ora è molto più tranquillo del papà». La paura più grande arriva dalle sostanze: «La droga è la cosa peggiore che può incontrare un ragazzo, ma questo te lo può raccontare chi l’ha vissuta in prima persona. È una cosa che andrebbe bandita, anche dalle canzoni in certi casi, a meno che non la racconti in un certo modo. Ma chi la fa passare come una cosa figa credo sia una testa di cazzo».
All’età di suo figlio, come si immaginava da 50enne? «Esattamente così, con la chitarra, sul palco. Io volevo questo, non c’erano altre vite possibili e mi ritengo una persona fortunata. Mi sono ritirato in quarta superiore senza diplomarmi, pensa che coglione, ho fatto il meccanico, il cameriere, quattro anni in cantiere, da ultimo il facchino in un hotel, ma lavoravo sempre solo per poter fare musica».
14 novembre 2025
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