Non li incontravamo da un po’, gli Starlight Ritual. Quattro anni suonati, da quando parlammo del loro esordio nel primo volume dei nostri speciali dedicati alla NWOTHM. Loro sono canadesi, del Quebec, ed erano più o meno un progetto collaterale di J-F. Bertrand, da poco uscito dai furiosi Forteresse, di cui era stato il cantante dagli esordi. Ora magari può concentrarsi sui suoi altri progetti, e infatti ecco il secondo album di questo gruppo qua, intitolato Rogue Angels. Qui Bertrand si occupa di batteria e chitarra. Ovvio, in studio, perché rispetto a Sealed in Starlight gli Starlight Ritual hanno perso in formazione sia il batterista che il bassista e sono rimasti in tre dalla formazione precedente, asce e voce, a coprire tutti i ruoli. Confermato il nippo/canadese Damian Ritual, che per quel che so (visto il nome o soprannome) potrebbe essere anche la vera guida. E infatti canta molto. Lo dicevo, la volta precedente, un po’ come fosse un difetto (lo era), come se soffocasse gli altri strumenti riempiendo ogni momento con un vocalizzo.

Bene, lo stile è ancora quello e Damian Ritual è ancora un cantante costantemente sopra le righe. Lo impone anche il genere, un heavy rozzo, barbaro, epico, che prende a mani basse da quel momento in cui l’hard rock e la NWOBHM ancora un po’ si confondevano: Dio coi Sabbath e solista, Judas Priest, Saxon, quell’epoca lì. Epoca gloriosa. La gloria era un valore, e la gloria nel Metallo non la porti con la misura e la mestizia. Quindi Damian Ritual interpreta la sua parte come Dio comanda, melodia, impeto e magniloquenza. Ma, occhio, ha un timbro totalmente diverso dall’Elfo, voce roca e testosterone. Tipo Jean-Pierre Abboud, altro canadese, che faceva in modo che agli esordi quegli altri canadesi dei Gatekeeper sembrassero un’orda abbandonatasi al saccheggio. Però Damian Ritual va oltre, è molto più roccioso, con voce piena e stentorea. Come la musica degli Starlight Ritual. Un macigno. Rozzi e potenti. Con tempi quadrati e riffoni e cori (Crusaders, ottima). A tratti il cantante pure qui non si dà una regolata (On the Run) e le chitarre soliste forse non sono sempre proprio il massimo, ma solo se vogliamo fare i rompicoglioni. E rompicoglioni con gente che ha un avambraccio grosso come la mia testa e suona metallo con la delicatezza di un cimmero io preferisco non esserlo.
In soldoni, la notizia: lo so che tanto il ritorno degli Eternal Champion lo aspettiamo in molti. Rogue Angels aiuta ad ingannare l’attesa. Più ancora: nell’anno del discone assurdo dei Fer De Lance, la notizia è che, se di barbarie insensata e della grandiosità dell’heavy epico non siete ancora sazi, c’è un’altra gran bella mazzata sui denti per i nemici del Vero Metallo. Non sarà commovente com Fires on the Mountainside, ma è un disco cazzutissimo e vedete che facevo bene a fomentarmi, la prima volta che li ascoltavo. Poi sì, nel primo disco si canta troppo e a volte vorresti più mazzate che parole. Qua l’equilibrio funziona di più, un cantato rock’n’roll, epico e selvaggio su musica selvaggia, epica e rock’n’roll. Il vero Metallo. C’è da scapocciare per una settimana almeno dopo il primo ascolto e i brani crescono pure, le melodie funzionano sempre meglio. Perché, insomma, un disco del genere vince a mani basse su centinaia di uscite NWOTHM sciatte e in fotocopia spero sia chiaro. Manco gli Starlight Ritual inventano nulla. Ma suonano il Metallo epico dei primi anni ’80 con foga e barbarie insensata. Cosa volete d’altro. Nove su dieci che questo disco asfalta le altre uscite underground recenti che stavate ascoltando in questi giorni. (Lorenzo Centini)
