Un duplice, pesantissimo, monito arriva dai padiglioni della Cop30 in corso a Belém. Da un lato, la conta dei danni: in 32 anni, i disastri naturali sono costati all’agricoltura globale 3.260 miliardi di dollari, bruciando ogni giorno l’equivalente del fabbisogno calorico di 320 chilocalorie a persona. Dall’altro, la causa principale: le emissioni di gas serra sono destinate a raggiungere il record di 38,1 miliardi di tonnellate nel 2025, nonostante l’anniversario dei 10 anni dall’Accordo di Parigi.
Il conto salato della crisi climatica
A certificare l’impatto sulla produzione alimentare è il rapporto Fao “L’impatto dei disastri sull’agricoltura e la sicurezza alimentare 2025”. I numeri sono da capogiro: dal 1991 al 2023, sono andati persi 4,6 miliardi di tonnellate di cereali, 2,8 miliardi di tonnellate di frutta e verdura e 900 milioni di tonnellate di carne e latticini.
Questo si traduce in una perdita di cibo che avrebbe potuto nutrire miliardi di persone, erodendo dal 13% al 16% del fabbisogno energetico giornaliero globale. A fare le spese maggiori sono i Piccoli Stati Insulari in via di sviluppo (SIDS), strangolati da cicloni e innalzamento dei mari, le cui perdite agricole rappresentano una fetta sproporzionata del loro Pil.
Il rapporto porta alla luce anche un danno spesso invisibile: le ondate di calore marine hanno provocato 6,6 miliardi di dollari di perdite nel settore ittico dal 1985 al 2022, colpendo il 15% della pesca globale. Un settore che, nonostante sostenga i mezzi di sussistenza di 500 milioni di persone, rimane spesso fuori dalle statistiche ufficiali.
La soluzione: una rivoluzione digitale in campagna
La soluzione indicata dalla FAO per costruire resilienza passa per la trasformazione digitale. “Le tecnologie digitali stanno già rivoluzionando il modo in cui monitoriamo i rischi e supportiamo gli agricoltori”, ha commentato il Direttore Generale Qu Dongyu.
Intelligenza artificiale, machine learning e satelliti possono potenziare i sistemi di allerta precoce e le assicurazioni. La sfida, avverte il rapporto, è colmare il digital divide: oltre 2,6 miliardi di persone sono ancora off-line, molte proprio nelle aree rurali più a rischio. Servono, quindi, investimenti massicci e politiche nazionali che integrino queste soluzioni, coinvolgendo governi, partner internazionali e settore privato.
Il record nero delle emissioni
A minare ogni sforzo di adattamento, però, è la continua crescita delle emissioni. Il Global Carbon Project (GCP), un consorzio di oltre 100 scienziati, ha presentato alla Cop30 un’analisi che prevede per il 2025 un nuovo e drammatico record di 38,1 miliardi di tonnellate di CO2 immesse in atmosfera.
Le emissioni da petrolio, gas e carbone sono destinate a crescere di oltre l’1% rispetto al 2024. Un dato che, come sottolineato dal fisico Paulo Artaxo dell’Università di São Paulo, “evidenzia la distanza abissale” tra gli impegni di Parigi e la realtà, e che l’opinione pubblica deve comprendere per spingere azioni più decise.
La sfida della COP30
In questo contesto, l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro +1,5°C diventa il tema centrale e più urgente dei negoziati di Belém. Garantire un futuro climatico sicuro alle prossime generazioni significa agire subito, partendo proprio dall’Amazzonia, uno degli ecosistemi più vulnerabili e cruciali per la salute del pianeta. La posta in gioco, come dimostrano i numeri, non potrebbe essere più alta.