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C’è un silenzio strano, attorno a noi, ed è quello lasciato dalla medicina generale che sta scomparendo. Non è un fenomeno che avviene all’improvviso ma con una dissolvenza lenta. In estate, la carenza fisiologica si acuisce per le legittime ferie dei professionisti e durante questi periodi di assenza, spesso, non si trovano sostituti. Il medico di medicina generale non è un dipendente pubblico, ma un libero professionista convenzionato con il Servizio sanitario nazionale. Questo significa che, pur essendo parte integrante del sistema, non gode delle strutture organizzative né del supporto che avrebbero dei lavoratori dipendenti anche in caso di sostituzione.

Il pronto soccorso come “ultima spiaggia”

Il paziente, quando non riesce a contattare il suo medico di fiducia, spesso si rivolge impropriamente al pronto soccorso, aperto 24 ore su 24. La conseguenza? Un uso improprio del servizio di emergenza e urgenza, già in affanno, con il sovraffollamento dei pronto soccorso e tempi di attesa che si allungano per tutti. Anche per i pazienti realmente bisognosi.

Parliamo di 1.500-2.000 medici di famiglia che andranno in pensione ogni anno per i prossimi dieci anni e nessun numero di sostituti che colmerà il vuoto perché il vero problema è che oggi la medicina generale non è attrattiva. Badiamo bene, e tengo particolarmente a sottolinearlo, che non mancano medici in Italia ma semplicemente non scelgono di intraprendere il percorso per diventare medici di medicina generale. Un percorso che, a differenza delle altre specialistiche, non è universitario, ma gestito dalla Fimmg, la federazione italiana dei medici di famiglia, è meno retribuito e comporta la scelta di un lavoro da libero professionista con un “rischio di impresa”. 

Il miraggio delle case della salute

Il medico di medicina generale, oggi, è contemporaneamente segretario, manager, centralinista, informatico, commercialista. E deve pure pensare a trovare un sostituto, a proprie spese, nei periodi di ferie. Non stupisce allora che sempre più medici scelgano di associarsi in poliambulatori, cercando di condividere spazi, costi e carichi di lavoro, magari con l’appoggio di personale amministrativo e infermieristico.

Una soluzione necessaria, in molti casi utile, ma che non va confusa con il concetto di Casa di comunità. Perché un insieme di studi organizzato per gestire meglio la burocrazia non è la stessa cosa di un luogo concepito per offrire al paziente risposte concrete e integrate, con la presenza di specialisti, diagnostica di base, percorsi assistenziali condivisi. La Casa di comunità è – o dovrebbe essere – un presidio pubblico territoriale in grado di assorbire e risolvere bisogni sanitari complessi senza ricorrere all’ospedale, se non nei casi gravi. Un luogo dove transitano anche gli specialisti.

Ma secondo gli ultimi dati Agenas delle 1.717 Case di comunità previste dal Pnrr, soltanto 485 sono attive. Ma un dato ancora più agghiacciante ci dice che attive con tutti i servizi (compresi medici e infermieri) ve ne sono solo 46.

La perdita della medicina del contatto

La disfatta della medicina territoriale porta inevitabilmente con sé quella della medicina del contatto. I pazienti fragili, anziani, non autosufficienti, restano chiusi in casa, spesso abbandonati, perché nessuno più li raggiunge. Il medico di famiglia rischia di divenire una figura mitologica. Una di quelle che si ricordano con nostalgia, ma che non si vedono più.

Se vediamo una significativa diminuzione del numero di medici di famiglia, aumenta il carico di lavoro per quelli rimasti con conseguente perdita della medicina del contatto. Il tempo dedicato a ciascun paziente si riduce, compromettendo la qualità dell’assistenza e la possibilità di costruire un rapporto di fiducia. Inoltre, l’irreperibilità del medico o i lunghi tempi di attesa rendono l’accesso alle cure difficoltoso, soprattutto per anziani e persone con mobilità ridotta. In Italia, si stima che già tra 3 e 4 milioni di persone siano senza medico di famiglia con gravi ripercussioni sulla salute individuale e sull’efficienza del sistema sanitario nel suo complesso.

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