Si fa presto a dire “tormentone”. Negli anni della musica fatta per TikTok, dove una hit non dura più di qualche settimana – salvo rare eccezioni – e i featuring sono più importanti della canzone stessa, lo snobismo che aleggiava su un certo tipo di pop nostrano va a sbattere inevitabilmente contro un muro di prodotti commerciali travestiti, oggi, da progetti musicali.
Senza nulla togliere ai pochi veri artisti riusciti a emergere in questo buio momento musicale – seppure pieno di offerta -, un nome come quello di Baby K resta inciso nella ‘walk of fame’ della scena pop-urban italiana. Dal successo di “Roma-Bangkok” alla capacità di reinventarsi continuamente senza mai perdere la sua ecletticità, la gavetta, le critiche, ma soprattutto Claudia Judith Nahum. La persona dietro all’artista. La vera scoperta.
Il 14 novembre esce “Dimmi dimmi dimmi”, un brano in cui parli di alcuni aspetti dell’universo femminile. Quanto c’è di te in questa canzone?
“Penso che tutte noi donne abbiamo vissuto almeno una volta un’esperienza simile, ritrovarsi con un ex in una serata di divertimento, tra la voglia di non pensarci e al tempo stesso quella di farlo ingelosire. È un gioco divertente in cui mi sono ritrovata spesso, ma non è legato solo all’universo femminile. Questo orgoglio appartiene a tutti, non voler ammettere a noi stessi che ci fa effetto vedere l’ex che balla proprio quella canzone d’amore con un’altra”.
Scene che aprono al gossip. Che rapporto hai con i pettegolezzi?
“Fanno parte dell’intrattenimento, quindi anche del mondo dello spettacolo. Tutti ci divertiamo a leggere gli scoop, sempre che l’argomento poi non diventi troppo pesante o vada oltre certi limiti. Nel mio caso, però, devo dire che il gossip non mi ha mai toccato”.
Non ti sei mai trovata al centro di chiacchiere che ti hanno infastidita?
“No. Ci sono state voci qua e là, ma neanche me le ricordo. Devo dire che intorno al mio nome c’è sempre stato un mondo pulito. Forse perché non ho grandi scheletri nell’armadio, ma anche perché dalle mie storie d’amore non è mai uscito fuori chissà quale scoop. E quando mi sono frequentata con qualcuno dello spettacolo, sono stata intelligente da non farlo uscire”.
Ah, quindi c’è stato qualche amore famoso?
“Non sono stati molti, però sì. Ci sono stati e non si è mai saputo”.
Inutile chiederti chi…
“Non si è saputo e non si saprà ora (ride)”.
Le critiche, invece, ti feriscono?
“Anche quelle fanno parte di questo mestiere. A volte certamente pungono, altre no. Dipende da quello che si dice, ma sono cosciente che è parte del gioco”.
Quali ti hanno fatto più male?
“Sono stata abituata fin dall’inizio a chiacchiere del tipo ‘chi l’ha messa là’, ‘con chi è andata a letto per avere quel featuring’. Tutti cliché. Non so perché c’è ancora gente che non riesce ad accettare che una ragazza possa farsi strada da sola, lavorando a testa bassa. Quello che ho fatto io. Nei confronti delle donne c’è spesso questo pregiudizio, come se non si riuscisse a coniugare un’immagine curata con abilità e talento. Dopo 17 anni di musica, però, ho le spalle larghe”.
Nel 2015 vinci il disco di diamante con “Roma-Bangkok”. Il video fa un miliardo di visualizzazioni su YouTube, la popolarità ti travolge. Come hai vissuto quel momento e che rapporto hai con il successo?
“Una cosa che mi rammarica molto è proprio quella di non essermi goduta appieno i successi. Ho deciso di non farlo più e di celebrare anche i piccoli traguardi”.
Cioè?
“Ho fatto fatica a realizzare che ero davvero io a essere riuscita a fare tutto quello. È qualcosa che ti sconvolge, ci vuole molto tempo per capire realmente cosa significa. Tuttora, quando penso a quel periodo e a ciò che ho realizzato finora, mi dico ‘ma ti rendi conto?’. È come se non dormissi mai sugli allori. Da una parte è una cosa positiva, ma dall’altra è importante anche goderselo il successo. Invece subentra una sorta di autosabotaggio, c’è sempre il pensiero del passo successivo. Adesso che sono più grande, però, riesco a vedere il quadro da lontano, i pezzi assumono un altro significato”.
Sono passati dieci anni da quel successo, ma anche da quel mondo musicale…
“E ora non è un momento d’oro. Non è tempo per i creativi. Prima c’era più varietà nella musica, proprio a livello di mondo sonoro. Adesso sembra tutta omologata e questa corsa ai numeri uccide la creatività. Le etichette e i manager hanno un ruolo sempre meno importante e si dà molta responsabilità all’artista, che si ritrova a dover essere influencer, tiktoker, content creator. Tutto deve essere impacchettato in pillole pronte al consumo per un social o per l’altro. La musica ha altre dinamiche, la creatività o un messaggio non si possono inscatolare così. Quando tutto è così veloce, impacchettato e pronto al consumo come se fossimo al fast food, cosa rimane? La musica usa e getta non è possibile, è inaccettabile”.
Soprattutto se hai un background diverso…
“Io vengo dalla gavetta, dalle mie intuizioni, non da un talent. Nessuno mi ha mai messo su un tavolino. Ho fatto tutto da sola e sono arrivata alla firma con Sony. Quando un percorso nasce dalle tue idee e ti sei creata da sola, è tutto diverso”.
Nata a Singapore, l’infanzia e l’adolescenza a Londra, poi a 17 anni ti sei trasferita in Italia. È stato difficile?
“Tantissimo. Quando cambi spesso scuola e amici è un continuo ripartire da zero, in età evolutiva è dura. Quando siamo piccoli abbiamo bisogno di radici, di un pilastro che ci tiene saldi. Questa cosa non l’ho mai avuta. Mi sono sentita sempre un pesce fuor d’acqua. A Roma ero con la mia famiglia, ma sentivo che non c’entravo niente. La mentalità inglese è completamente diversa, avevo altri riferimenti culturali, per cui era difficile anche avere conversazioni nel quotidiano. Il tema identità è stato centrale in quegli anni, ma anche recentemente. L’ho affrontato con uno psicologo”.
Ti ha messo in crisi?
“Non è stato semplice. C’è un’identità mista in me, che non trova riscontro con altre persone. L’essere umano sente la necessità di appartenere a qualcosa, mentre io sentivo sempre che non c’entravo niente. Non riuscivo a trovare un’appartenenza nel luogo in cui mi trovavo. Il ‘chi sei’ è stata una domanda che ho portato avanti per la maggior parte della mia vita”.
Sei arrivata a una risposta?
“La terapia mi ha aiutato molto. Quando sei abituata fin da piccola a doverti adattare, cresci in questa maniera: dove ti mettono stai, e ci stai anche bene, ma non crei un tuo mondo. Questo sfocia in tante cose, a partire dal rapporto con gli altri. L’istinto inconscio era di adattarsi sempre, quindi, ad esempio, faticavo a dire no. Adesso ho imparato. E ho capito anche che la diversità è stata una forza. Nel mondo musicale, ad esempio, mi ha permesso di spiccare”.
Oggi l’Italia deve guardare ad altri Paesi, per qualche motivo, secondo te?
“C’è sempre da imparare guardando fuori la finestra. Gli italiani, invece, tendono a temere il diverso, o anche ad accettare quello che di più innovativo arriva da fuori. Fare meno salotto e agire un po’ di più farebbe bene secondo me. Tendiamo a essere troppo critici, così non si crea niente. E poi l’Italia ha volti nuovi ormai. Essere italiani significa anche venire da altri Paesi. Siamo alla terza generazione di immigrati che sono venuti a lavorare e a vivere qui, si dovrebbe finalmente capire che l’Italia è cambiata, è mescolata”.