A Torino, in campo, non ci sono solo i tennisti, ma anche i “portafortuna” dell’Unione Genitori Italiani contro il tumore dei bambini. Il filo conduttore che li lega è la malattia, le cure e il desiderio di tornare a vivere come i loro coetanei. E queste sono le loro storie

Martina Sessa

15 novembre – 18:58 – MILANO

La settimana delle Atp Finals non appartiene più soltanto ai tennisti, ai migliori otto al mondo. Da quando il torneo si disputa a Torino, fra i protagonisti ci sono anche loro: le mascotte. Alcuni improvvisano balli trasformando il cemento indoor calcato da Sinner e Alcaraz in una pista da discoteca; altri sono più timidi ed esitanti, altri ancora condividono una grande passione per lo sport con i campioni che accompagnano. Le storie di Gioele, Nicole, Clara e di molti altri hanno però un filo comune: la malattia, le cure e il desiderio di tornare a vivere come i loro coetanei. Nitto, sponsor delle Atp Finals, ha scelto come Charity Partner Ugi (Unione Genitori Italiani contro il tumore dei bambini), l’associazione torinese che da oltre quarant’anni sostiene i piccoli pazienti con attività ludico-didattiche e offre supporto alle loro famiglie durante il percorso di cura. Grazie a questa collaborazione, alcuni pazienti in cura al Regina Margherita sono scesi in campo per accompagnare i grandi campioni del tennis. 

GIOELE—  

Il primo a rubare la scena è stato Gioele, 7 anni. Ha accompagnato Ben Shelton nel match contro Sascha Zverev e, subito dopo, si è lasciato andare a un balletto diventato virale sui social. “Prima di entrare in campo mi ha chiesto se poteva ballare: gli avevo consigliato di non farlo. Alla fine però ha convinto la responsabile della Federazione, si sono accordati e così sono nati quei passi che avete visto”, racconta la mamma, Erica. Il motivo di quel gesto non è del tutto chiaro neppure a lei, anche se una spiegazione c’è: “Ai bambini è stato chiesto di caricare il tennista in vista della partita e lui si carica molto quando balla”. Gioele non ha compreso del tutto la portata della sua esibizione, ma qualcosa sì: a scuola guarda il video con i compagni e poi tempesta la mamma di domande. “Mi chiede: ‘Quanti like ho? Mi ha visto metà mondo o tutto il mondo?’ Io gli spiego che, vista l’importanza dell’evento, lo hanno visto in tanti… ma non è facile farglielo capire”. Affettuoso e pieno di energia, il ballo e il canto sono stati due modi con cui Gioele ha affrontato la malattia: un tumore al rene per cui oggi è fuori cura da un anno. Per ora non pratica sport, solo psicomotricità, ma non è escluso che un giorno impugni racchetta e pallina. La mamma, però, ha una sua idea: “Ama correre, e secondo me da grande farà atletica”. 

NICOLE—  

“È una ginnasta”. È la prima cosa che la mamma dice parlando di Eva Nicole, che ha appena compiuto sette anni. La ginnastica ritmica è sempre stata il suo mondo, e lo è rimasto anche durante le cure: “Nonostante il cortisone, voleva sempre allenarsi e faceva videochiamate con le maestre per mostrare gli esercizi che provava a casa”, raccontano i genitori. Nicole è tornata a casa dopo essersi sottoposta, da giugno, alle terapie per una leucemia linfoblastica acuta. Il suo sogno è entrare un giorno nel mondo della televisione, e un piccolo passo l’ha già compiuto: fare da mascotte alle Finals e scendere in campo mano nella mano con Carlos Alcaraz, il numero uno al mondo. “Le hanno chiesto quanto fosse alto Alcaraz e lei ha risposto: ‘È alto come il mio papà’”, dicono sorridendo i genitori. Per Nicole non è più “Alcaraz”, è semplicemente “Carlos”: così lo chiama con gli amici, con i compagni di reparto e persino con il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Durante quella passeggiata sul campo delle Finals, il tennista spagnolo le ha chiesto come stesse, in spagnolo, ma l’emozione l’ha travolta: “Non ci capivo niente”, racconta lei. Il desiderio suo e del papà Mitrea è chiaro: “Alcaraz è spaziale, è come i grandi di questo sport: Federer, Sampras, Agassi. Avremmo voluto vedere anche Djokovic”. Ma il tennis, qui, è solo lo sfondo: “Non è una malattia facile da curare e da tenere lontana. Questa opportunità alle Finals è un simbolo di speranza per tutti i bambini”.