Aumentano tra giovani e adolescenti le nuove dipendenze che vanno oltre la tossicodipendenza e lo spaccio. Oggi anche telefonini e gioco online. A questi si aggiungono shopping compulsivo e pedopornografia. Come comportarsi? A Interris.it il prof. Massimo Gandolfini, Neurochirurgo e Psichiatra – Direttore Dipartimento di Neuroscienze Fondazione Poliambulanza di Brescia

L’intervista

Quali sono le nuove patologie che affliggono i nostri giovani, oltre alla tossicodipendenza classica?

“Purtroppo, il campo si è notevolmente allargato. Non parliamo più solo di sostanze stupefacenti, ma di patologie legate a condotte e comportamenti compulsivi. Ci siamo concentrati in modo particolare sulle dipendenze da gioco online, da gaming, e il correlato gioco d’azzardo online. A queste si aggiungono lo shopping compulsivo, la pornografia — che spesso è pedopornografia — e i disturbi alimentari, come l’anoressia. È un campo in espansione e le vittime sono sempre più numerose, a causa del contatto precoce con i dispositivi mobili”.

Alcuni giochi apparentemente innocui nascondano dei “veleni”, come i link per acquisti o l’azzardo. Come si può educare i più giovani a un uso corretto della tecnologia senza farli sentire privati di uno strumento utile?

“Bisogna essere chiari: non si tratta di demonizzare gli strumenti tecnologici, che se usati virtuosamente sono un grande aiuto per la cultura, la scienza e la medicina. Il problema è ‘cosa ci mettiamo dentro’. La prima cosa è non abituare i bambini ad avere sempre lo smartphone in mano fin da 4-6 anni, come purtroppo accade. Coloro che creano questi giochi usano meccanismi, come le loot box, che portano lentamente e inconsapevolmente il bambino, magari a 10-11 anni, a giocare inizialmente con denaro virtuale, per poi ritrovarsi ad affrontare il gioco d’azzardo con somme reali in adolescenza”.

Foto: Foto di Aidan Howe su Unsplash

Come può un genitore aiutare concretamente il proprio figlio in questo percorso? Quale può essere un esercizio o un comportamento per una crescita sana?

“Una cosa importantissima è che i genitori agiscano tramite la testimonianza. Il bambino deve percepire che lo smartphone è semplicemente uno strumento per trovare una strada o fare una breve chiamata, non la ragione di vita dei genitori. Ma soprattutto, bisogna far sentire ai bambini l’amore dei genitori, non l’amore dello smartphone”.

Lei parla anche una componente neuroscientifica in questo legame.

“Esattamente. Molte volte il device tecnologico diventa il compagno relazionale. Si producono sostanze, in particolare l’ossitocina, un neurormone, che fa sì che il bambino si leghi affettivamente al dispositivo. Questo accade spesso perché manca una relazione di amore, empatia e condivisione con i genitori. È un pericolo che va conosciuto e assolutamente evitato”.