di
Giulia Taviani
All’alba del 18 gennaio 2020 otto rugbisti si scagliano contro un 18enne fuori da un locale a Villa Gesell. Morirà sul marciapiede, massacrato di calci e pugni, e il video del pestaggio diventerà virale. La docuserie su Netflix
Cinquanta secondi. Sono bastati cinquanta secondi a otto rugbisti di Zárate per uccidere Fernando Báez Sosa, diciottenne di Buenos Aires in vacanza a Villa Gesell con gli amici. Cinquanta secondi di calci e pugni, che hanno tolto la vita a un ragazzo e condannato altri cinque all’ergastolo.
Il primo incontro tra Báez Sosa e il gruppo dei rugbisti avviene intorno alle 4.30 del 18 gennaio 2020 dentro al locale La Brique, nella famosa località balneare a sud di Buenos Aires. Qui un incidente di poco conto sulla pista da ballo li porta a un primo scontro.
Il secondo incontro avviene invece intorno alle 4.45, questa volta fuori dal locale. In pochi secondi la tragedia: il diciottenne viene ritrovato senza vita sul marciapiede, con un trauma contusivo alla testa. Il video di quel pesteggio verrà riprodotto in loop per mesi, sui social e in televisione.
Per l’omicidio, nel febbraio 2023, vengono condannati otto ragazzi che nel giorno del pestaggio hanno tra i 18 e i 20 anni: condanna all’ergastolo per Máximo Thomsen, Enzo Comelli, i fratelli Ciro e Luciano Pertossi e Matías Benicelli: a 15 anni di cercere per Lucas Pertossi (cugino degli altri due), Blas Cinalli e Ayrton Viollaz, in quanto autori secondari. Tutti e otto si trovano oggi nel carcere di massima sicurezza di Melchor Romero, a La Plata, vicino Buenos Aires.
Con la docuserie 50 secondi – Il caso Fernando Báez Sosa Netflix ricostruisce quel terribile minuto attraverso i video delle telecamere di sicurezza e le voci dei genitori, degli amici di Báez Sosa, e degli stessi condannati.
Le origini paraguaiane e il sogno di diventare avvocato
Fernando Báez Sosa nasce a Buenos Aires nel 2001. I genitori sono immigrati paraguaiani, che in Argentina lavorano come portinaio e come collaboratrice ospedaliera. Fernando, il loro unico figlio, si è iscritto da poco all’Università di Buenos Aires per studiare Giurisprudenza, con il sogno di diventare avvocato penalista.
Aveva insistito molto per andare in vacanza con gli amici quell’estate. «Abbiamo già scelto l’università, abbiamo tutti la fidanzata, sarà l’ultima occasione per andare via insieme», aveva raccontato alla madre per convincerla a lasciarlo andare a Villa Gesell. E così, il 16 gennaio 2020, partono per il mare.
L’arrivo a Villa Gesell
Villa Gesell, a circa quattro ore di macchina da Buenos Aires, è una delle località balneari più famose d’Argentina, soprattutto tra i giovani, attirati dai numerosi locali.
Quel giorno, quello del 18 gennaio 2020, Báez Sosa e i suoi amici (non è chiaro in quanti fossero, nel documentario a parlare sono in tre) lo trascorrono in spiaggia. La sera invece decidono di dirigersi verso la calle 108, più lontana dal cuore della movida, concentrata tra le strade 100 e 101, dove le risse avvengono quotidianamente.
La scelta ricade su Le Brique, nonostante fosse un locale molto frequentato. Dopo le 4, infatti, era quasi impossibile perfino camminare. Verso le 4.40 circa, uno degli amici di Báez Sosa racconta di essersi ritrovato spinto in avanti, colpito dal nulla e caduto a terra, mentre cercava di uscire dal locale. «Di riflesso ho alzato il braccio e tirato pugni all’aria. Quando mi sono alzato – racconta nel documentario – mi sono ritrovato davanti due persone molto alterate».
Uno dei due sferra un altro pugno contro un secondo amico, poi si avvicina e gli dice: «Il problema non è con voi, ma con il vostro amico». Si riferisce a Báez Sosa: in mezzo alla folla qualcuno lo sta spintonando.
Secondo quanto ha raccontato Fernando ai suoi amici, la rissa è scattata per una sua intromissione: stava cercando di smorzare la tensione tra un ragazzo a cui era stato versato un drink addosso – membro di un gruppo di rugbisti della città di Zárate – e quello che involontariamente aveva commesso il gesto.
Durante il processo, un bodyguard racconta di aver visto uno dei rugbisti prendersela con Fernando, che in risposta gli ha tirato un pugno. Per questo motivo ha deciso di portare fuori prima Fernando e poi il rugbista, identificato come Máximo Thomsen. Per l’atleta però, confermerà il capo della sicurezza, servirono due persone, per quanto forte e alterato fosse.
A quel punto escono tutti dal locale. Báez Sosa intorno alle 4.30, i rugbisti pochi minuti dopo.
Gli ultimi cinquanta secondi di Fernando
Alle 4.37 circa, i rugbisti individuano Fernando, diretto verso la gelateria di fronte al locale. La zona era scoperta, una rissa dietro l’angolo aveva attirato l’attenzione di tutta la polizia presente sul posto. Lucas Pertossi (che verrà condannato a 15 anni) filma l’inizio dell’aggressione. Dal video, si vede Enzo Comelli (condannato all’ergastolo) sferrare il primo colpo.
Di punto in bianco Fernando è a terra. Gli amici cercano di difenderlo ma vengono trattenuti: «Mi hanno colpito lateralmente, ero intontito» racconta uno; «ho chiesto di smettere di picchiarlo, e hanno picchiato anche me» racconta un altro.
Dopo cinquanta secondi, con Báez Sosa a terra già morto, il gruppo se ne va. Un agente si avvicina a Fernando, gli sente il polso e pratica la rianimazione, poi prende la descrizione degli aggressori. Nel giro di qualche minuto arriva l’ambulanza. Fernando viene portato in ospedale, ma è in arresto cardiaco. Non ci sarà nulla da fare per lui.
Gli attimi dopo l’omicidio
Subito dopo il pestaggio, le telecamere di sorveglianza riprendono Luciano Pertossi e Matías Benicelli (entrambi condannati all’ergastolo) abbracciarsi mentre si dirigono verso casa. La stessa telecamera mostra, a distanza di un minuto, i poliziotti tornare di corsa verso la scena del crimine. In quel momento Máximo Thomsen si separa dal gruppo e inizia a correre fino a casa. Appena arriva scrive ai suoi amici: «Dove siete? Vi hanno fermato?».
Un ultimo video, quello delle telecamere di sicurezza di un supermercato, mostra effettivamente alcuni dei ragazzi venire fermati dagli agenti, e Ciro Pertossi (condannato all’ergastolo) leccarsi le nocche per cancellare le tracce del sangue di Fernando. Ma dopo quel breve controllo vengono lasciati andare.
Una volta tornati a casa, Thomsen e Lucas Pertossi (condannato a 15 anni) escono di nuovo per andare al McDonald’s. Dalle immagini li si vede ridere e scherzare con la cassiera.
L’accusa ha potuto dimostrare che, dopo quanto accaduto, i ragazzi hanno parlato del fatto. In un audio delle 4.55, Lucas Pertossi racconta: «Sono qua vicino dove c’è il tizio. Tutti urlano, c’è la polizia, hanno chiamato l’ambulanza. È andato». Poi, alle 6.06 del mattino, un audio di Ciro Pertossi aggiunge: «Non lo diciamo a nessuno, a nessuno».
L’arresto e il rilascio di due rugbisti
Cinque ore dopo il crimine, i ragazzi vengono fermati dalla polizia, che riesce – grazie alle telecamere e ai testimoni – a risalire alla casa dove soggiornano, non molto distante dal locale. Sono dieci in tutto. Alla polizia confermano di aver preso parte a una rissa ma nulla di più.
Vengono arrestati con l’accusa di omicidio aggravato; le maglie e le scarpe ancora sporche di sangue vengono sequestrate come prove. Sul volto di Fernando c’è un chiaro segno della marca di scarpe che lo ha colpito. In un primo istante Thomsen cercherà di incolpare un altro ragazzo di Zárate, un certo Pablo Ventura, affermando che si era fatto venire a prendere dal padre dopo la rissa. Ventura verrà arrestato e rilasciato nel giro di poco, dopo che questo dimostrerà di non essere mai stato a Villa Gesell. Thomsen non spiegherà mai perché l’ha ingiustamente coinvolto, ma sicuramente quella bugia peggiorerà la sua posizione.
Alle 5.30 del mattino del 19 gennaio, vengono portati in carcere. Il 10 febbraio, 23 giorni dopo il delitto, due dei dieci ragazzi vengono liberati. Nessuno li ha identificati: né i testimoni né le telecamere di sorveglianza (fondamentali per ricostruire quanto accaduto quella sera). Solo Thomsen verrà riconosciuto da tutti i ragazzi presenti quella sera.
Il cordoglio di Papa Francesco
Sui social i video sia della prima rissa all’interno del locale, sia del pestaggio e del seguente omicidio, iniziano a girare da subito. Il mattino seguente il delitto, la notizia è già su tutti i media nazionali. Messaggi di cordoglio arrivano sia da Papa Francesco che dall’allora presidente argentino Alberto Fernandez.
Cinque ore dopo il delitto, il Paese conosceva già l’identità degli aggressori, e il fatto che si trattasse di rugbisti peggiorava la loro posizione. L’omicidio di Sosa, infatti, non era il primo caso di aggressione commessa da parte di rugbisti nel Paese. Alcuni giornali argentini sottolineano come la violenza da parte di gang di rugbiers sia un fenomeno ricorrente, da collegare anche all’aspetto elitario che questo sport ha nel Paese, spesso associato alle classi sociali più agiate, carico di connotazioni sociali che rimandano a una cultura maschilista, e, in certi ambienti, a un senso di privilegio e impunità.
Il 20 marzo, due mesi dopo il delitto, arriva anche in Argentina il lockdown a causa della pandemia. Le notizie si concentrano sul Covid, lasciando il caso in secondo piano. Per almeno un anno le notizie attorno a Fernando si fermano. L’attenzione torna con l’avvicinarsi del processo, a quasi tre anni da quell’omicidio. Anche personaggi famosi, come i calciatori della nazionale Leandro Paredes e Pity Martinez, chiedono giustizia per il giovane.
Il processo contro i rugbisti
Il 2 gennaio 2023 inizia il processo. L’accusa è di omicidio premeditato con doppia aggravante. La difesa chiede però la condanna per omicidio in rissa, ovvero una morte in seguito a uno scontro non pianificato in anticipo, senza quindi l’intenzione di uccidere qualcuno. L’obiettivo è di ottenere un massimo di 25 anni di carcere e non l’ergastolo.
Dalle testimonianze (sono stati sentiti oltre ottanta testimoni) emerge un attacco mirato contro Fernando, non contro il gruppo. Solo Luciano Pertossi cercherà di spiegare che non aveva preso parte alla rissa, che in realtà dal video lo si vede stoppare il calcio in tempo per non colpirlo. Anche Thomsen parlerà, ma per chiedere scusa «perché mai nella vita mi è passato per la testa di voler uccidere qualcuno». Dichiarazioni che serviranno a poco.
Le condanne a 15 anni e all’ergastolo
Máximo Thomsen, Enzo Comelli, Ciro e Luciano Pertossi e Matías Benicelli vengono condannati all’ergastolo (oltre al pagamento delle spese processuali) come co-autori responsabili penalmente dei reati di omicidio doppiamente aggravato per premeditazione tra due o più persone e malizia in concorso formale con feriti lievi. Ciò significa che non potranno uscire prima di trent’anni. Durante la lettura della sentenza Thomsen si sente male, costringendo il giudice a chiedere l’uscita di chiunque non fosse coinvolto nel processo. Dopo la sentenza viene portato via dal tribunale in ambulanza.
Subito dopo vengono condannati a 15 anni di carcere Lucas Pertossi, Blas Cinalli e Ayrton Viollaz come autori secondari.
Nell’ottobre del 2023 la difesa presenta ricorso contestando l’intenzione di uccidere e irregolarità nel processo. Ma le otto condanne vengono confermate. Gli avvocati hanno annunciato che si appelleranno ai massimi gradi di giudizio nazionali e internazionali.
Oggi i ragazzi – che hanno tra i 23 e i 25 anni – sono rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di Melchor Romero, a La Plata (vicino Buenos Aires), in Argentina. Secondo i racconti dei quotidiani argentini, partecipano tutti alle attività organizzate all’interno del carcere e ai corsi di formazione. Lucas Pertossi si sarebbe anche iscritto a Giurisprudenza.
Solo Thomsen ha vissuto un periodo in isolamento in seguito a una rissa con un altro detenuto. Ma nonostante questo, raccontano, continua a partecipare ai workshop di gruppo sulla cultura giuridica e sui diritti umani.
16 novembre 2025 ( modifica il 16 novembre 2025 | 12:16)
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