di Chiara Amati

Ha raccontato con arguzia i piaceri del cibo e dato voce — con rispetto e ammirazione — alle donne resilienti che hanno attraversato la storia

Aveva solo 56 anni. Negli ultimi mesi, riporta The Observer, il giornale per cui scriveva da un quarto di secolo, Rachel Cooke è stata una presenza fissa pur nella sua assenza fisica. Con la redazione che, di riunione in riunione, scandiva un ritornello ricorrente: “Quando tornerà, si divertirà un mondo a fare questa intervista, a raccontare quella storia…”. Ma Rachel non è mai più tornata: il cancro, diagnosticatole all’inizio dell’anno, se l’è portata via venerdì scorso. Le speranze che rientrasse al lavoro si sono affievolite nelle ultime settimane quando il marito, lo scrittore Anthony Quinn, ha cominciato a dar notizie sempre più angoscianti sul decorso della malattia.

Leggendo i suoi articoli – scrive Tim Adams – emerge, preziosa e rara, la capacità di passare dall’entusiasmo traboccante per i piaceri semplici a uno sguardo limpido e severo sulle storture del mondo. Aveva, nella scrittura e nella conversazione, una combinazione unica di calore e indignazione morale. L’ex direttrice Nicola Jeal, oggi al «Times», ricorda: «Qualsiasi argomento affrontasse, dal più leggero al più impegnativo, Rachel lo trattava con rigore assoluto e infinita curiosità. Sia che le chiedessi qualcosa di frivolo – una volta la mandai a provare il botox – sia che dovesse intervistare una figura potentissima, trovava sempre la storia».



















































Rachel si era innamorata del giornalismo prestissimo. Katharine Whitehorn, pioniera di un femminismo brillante e impertinente, era la sua musa. Per anni, Cooke conservò nel diario un foglietto segreto, una sorta di talismano nei momenti di crisi: la copia del telegramma che Whitehorn aveva mandato ai genitori nel 1956 per il primo vero posto da reporter. «L’ho avuto al Picture Post, lo volevo più del Paradiso», c’era scritto.
Rachel non ha mai smesso di sentire addosso quello stesso stupore. «Katharine è il motivo per cui, fin da bambina, non ho desiderato altro che essere una giornalista», ripeteva. E si capiva: quella meraviglia era diventata la sua cifra, la molla che l’ha spinta a raccontare il mondo senza perdere mai la fame di una volta.

Chi la conosceva davvero racconta che Rachel aveva un occhio da regista e una memoria da archivista sentimentale. Nessuno sapeva restituire con la stessa precisione i dettagli tragicomici della scuola degli anni Ottanta: il lucidalabbra steso come un manifesto, i capelli alla Phil Oakey, i drammi amorosi. Crebbe soprattutto a Sheffield, dove il padre insegnava botanica all’università. Ma tre anni della sua infanzia si svolsero in Israele, dove frequentò una scuola della Chiesa di Scozia a Jaffa, una delle poche in cui arabi ed ebrei studiavano insieme. Quello spaesamento – e l’eccitazione – temprò due tratti decisivi: la capacità di creare legami immediati e lo sguardo da outsider. In un reportage sul ritorno in quella scuola, anni dopo, Cooke aveva ricordato di quelle volte in cui scambiava i suoi KitKat con il pane caldo con za’atar che il compagno Sammy Waked andava a prendere al mercato. Il cibo come ponte tra persone, come forma di comunità: un’idea che non l’ha mai lasciata.

Nell’introduzione al suo recente libro Kitchen Person, raccolta di scritti gastronomici, raccontava di aver compreso la storia della propria famiglia – la madre dal Nord-Est, il padre dalle Midlands – attraverso il cibo e di come quello stesso cibo tenesse insieme l’idea stessa di famiglia anche dopo la separazione dei genitori. Conservò sempre un rapporto emotivo con la tavola: sgranava gli occhi a ogni accenno di diete o «dry January». 

Allan Jenkins, suo storico editor, ricorda una frase che ripeteva spesso: «Non sono una scrittrice di cibo più di quanto sia una scrittrice d’opera. Faccio solo la parte dell’appassionata dilettante, proprio come i lettori».
L’altra grande passione della sua vita sono stati i libri: Cooke era una lettrice vorace. Fu una strenua sostenitrice delle biblioteche pubbliche, motore di autoformazione che la portarono dalla scuola pubblica a Oxford. Nella sua rubrica Shelf Life diede voce all’amore per i libri dimenticati.
Ma Cooke era anche una grande intervistatrice. Nelle sue «vite» di scrittori – da Gore Vidal a Robert Caro, da Gloria Steinem a Barbara Kingsolver – non temeva mai di dire la sua. Valeva anche nella vita privata: non c’era riunione, pranzo o festa da cui i colleghi uscissero senza sapere esattamente che cosa pensasse.

Per un giornale era un sogno. Cominciò al «Sunday Times», dove editava anche AA Gill (che si divertiva a infilarle oscenità nel testo per sentirla protestare). Scrisse una rubrica televisiva per il «New Statesman», ma il The Observer fu la sua vera casa. Ogni direttore con cui ha lavorato ricorda gli standard altissimi, l’etica del lavoro, la leggerezza e l’inventiva.
Jane Ferguson, sua editor per vent’anni al New Review, la definisce «la spina dorsale del giornale. Aveva cultura, autorevolezza, mordente, humour, e un’energia inesauribile di idee. Nonostante scrivesse più di centomila parole all’anno, trovava comunque il tempo di leggere e vedere tutto. Era una fuoriclasse».
Paul Webster, che la diresse per alcuni anni, ricorda il suo pezzo sull’incoronazione di Re Carlo: «Straordinario – scritto magnificamente, osservato con intelligenza, spiritoso, affettuoso – l’essenza stessa dell’Observer». La considerava «semplicemente imbattibile»”.
Tim Adams, direttore di New Review, ha affermato: «Rachel non solo sapeva fare tutto come giornalista, ma lo faceva meglio e più velocemente di chiunque altro».
La giornalista Sonia Sodha, ex collega di Cooke all’Observer, ha affermato: «Mi sento molto fortunata ad aver avuto Rachel Cooke come amica e collega negli ultimi anni». Sodha ha descritto Cooke come «divertente, gentile, intelligente, una scrittrice eccezionale» e una «sorella d’armi leale» per le colleghe femministe.
C’è chi sostiene che un talento come il suo avrebbe meritato una produzione più importante. Chissà. Aveva solo 56 anni. Di certo i suoi lavori, eredità straordinaria, ora parleranno per lei. 

16 novembre 2025 ( modifica il 16 novembre 2025 | 15:30)