(METEOGIORNALE.IT) A una parte molto ampia dell’opinione pubblica gli studi sulla Corrente del Golfo sembrano fantascienza, anche perché se ne parla a ondate e, in effetti, alcuni lavori avevano prospettato il suo collasso quasi imminente. Ma ciò che veniva espresso alcune decine di anni fa – e anche pochi anni fa – oggi trova riscontro grazie a una potenza di calcolo dei modelli matematici estremamente maggiore, quindi con informazioni molto più precise. Il blocco della Corrente del Golfo non viene prospettato a caso, ma attraverso dati scientifici certi immessi nei modelli, che poi elaborano i calcoli.

 

Erroneamente si pensa che il rallentamento della Corrente del Golfo sia causato dal flusso di acqua fredda derivante dalla fusione dei ghiacci della Groenlandia. Non è così semplice: la Corrente del Golfo ha un processo molto particolare, legato alla quantità di salinità nell’Oceano Atlantico. La variazione di salinità derivante dalla fusione dei ghiacciai – immissione di acqua dolce – altera i livelli salini e rallenta, come sta accadendo, la Corrente del Golfo, fino a ridurne la potenza al punto da arrivare a un vero e proprio blocco.

 

In questi giorni sono usciti studi che hanno allarmato seriamente il governo dell’Islanda, che ha definito il rallentamento, se non il blocco, della Corrente del Golfo una vera emergenza nazionale. Il clima dell’Islanda è fortemente influenzato dalla Corrente del Golfo, che rende abitabile quest’isola remota, in prossimità della Groenlandia. Nel caso in cui la Corrente del Golfo dovesse bloccarsi, l’Islanda si troverebbe ad affrontare inverni eccezionalmente freddi e, soprattutto, l’espansione di ghiacci fino alle coste – parliamo di ghiacci perpetui. Le città principali verrebbero via via ricoperte da quantità di ghiaccio che durante la stagione estiva non si fondono. A questo punto l’Islanda rischia di sparire come identità e popolo, con la necessità di emigrare altrove. E tutto ciò potrebbe accadere nonostante i Cambiamenti Climatici globali stiano aumentando la temperatura media del pianeta.

 

Questo, ovviamente, è uno scenario drammatico. Esistono ipotesi meno catastrofiche, ma restano comunque orientate verso una situazione capace di generare una crisi grave per l’economia e la vita quotidiana islandese, compromettendo la normalità degli abitanti. Da qui l’allarme lanciato. Qualche mese fa si è tenuto un convegno dei Paesi nordici, Islanda compresa, a Reykjavík, sul Cambiamento Climatico e sul rischio di collasso della Corrente del Golfo, con effetti non solo sull’Islanda, ma anche sulla Scandinavia, sulla Norvegia, sulle Isole Britanniche e sull’Europa centrale. Il rallentamento – e quindi l’eventuale blocco – della Corrente del Golfo produrrebbe un cambiamento del clima anche nel Mediterraneo e in Italia.

 

Cosa dice lo studio dell’Università di Utrecht

Secondo un nuovo lavoro dell’Università di Utrecht, la circolazione atlantica meridionale capovolta (AMOC) – il motore profondo della Corrente del Golfo – si sta indebolendo più rapidamente di quanto suggerissero proiezioni passate. L’AMOC trasporta acqua calda tropicale verso nord, verso l’Europa, e rimanda acqua più fredda verso sud, moderando il clima dell’Europa settentrionale, sostenendo i modelli di precipitazione globali e stabilizzando i sistemi meteorologici.

 

Se l’AMOC crollasse, questo equilibrio verrebbe infranto. I ricercatori stimano che, anche con un percorso di emissioni moderate, la probabilità di un collasso entro il 2100 possa aggirarsi intorno al 37%. Negli scenari ad alte emissioni, il rischio salirebbe fino al 70%. Anche gli scenari più ottimistici non azzerano il pericolo, con valori nell’ordine del 25%. Alcune analisi indicano che l’innesco potrebbe avvenire già tra 2055-2060, pur con ampie incertezze su tempi e definizioni di “collasso”.

 

Un blocco o una transizione verso una AMOC molto indebolita comporterebbe inverni rigidi in Europa, spostamenti delle fasce di precipitazione, siccità diffuse, perdite agricole, e un innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti fino a valori anche prossimi al metro. In sostanza, l’AMOC è un punto di svolta planetario: potremmo essere più vicini a innescarlo di quanto stimato in precedenza. Non a caso, diversi responsabili europei del clima considerano la minaccia una priorità per la sicurezza nazionale, mentre l’azione globale coordinata resta insufficiente.

 

L’ultimo grande rallentamento dell’AMOC, circa 12.000 anni fa, scatenò brusche oscillazioni climatiche regionali. Oggi, con società altamente interconnesse, l’adattamento potrebbe non tenere il passo. La domanda è: come fronteggiare un pericolo che si accumula nel corso di decenni ma che potrebbe trasformare il mondo in modo irreversibile?

 

Fonti scientifiche internazionali

van Westen R. M., Vanderborght E. Y. P., Kliphuis M., Dijkstra H. A., “Substantial Risk of 21st Century AMOC Tipping even under Moderate Climate Change”, arXiv:2406.11738;
van Westen R. M., Vanderborght E., Kliphuis M., Dijkstra H. A., “Physics-Based Indicators for the Onset of an AMOC Collapse Under Climate Change”, Journal of Geophysical Research: Oceans (AGU), 130, e2025JC022651, Università di Utrecht;
Dijkstra H. A. et al., “Fate of the Atlantic Meridional Overturning Circulation: Strong decline under continued warming and Greenland melting”, Utrecht University;
Boot A. A., Steenbeek J., Coll M., von der Heydt A. S., Dijkstra H. A., “Global Marine Ecosystem Response to a Strong AMOC Weakening Under Low and High Future Emission Scenarios”, Earth’s Future (AGU), 13, e2024EF004741.

 

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