di
Elvira Serra
La regista della Nazionale di Volley: «La prima volta che ho giocato con la Piccinini mandai la nostra foto a mia sorella: ce l’ho fatta»
Alessia Orro, da piccola guardava «Mila e Shiro»?
«Certo. Ma ho voluto rivedere tutte le puntate sei anni fa, dall’inizio alla fine».
E come le è sembrato?
«Mi è piaciuto tanto, ho capito molte cose alle quali da bambina non avevo fatto caso: i sacrifici, l’allenamento difficile, il rammarico di quando non va come vorresti, i momenti di crisi nei quali pensi di mollare tutto, ma poi la passione vince».
In quei sacrifici si riconosce: a 13 anni ha lasciato Narbolia, 1.300 abitanti nell’Oristanese, per Milano.
«Quando sono partita per raggiungere il Centro federale Pavesi mi hanno accompagnata i miei genitori. Provavo un mix di paura e adrenalina, cose belle e brutte».
Chi l’aveva scoperta?
«Marco Mencarelli. Era venuto a un Regional Day in Sardegna. Davanti a lui ho fatto un esercizio palla-coppia e mi ha detto: tu sarai palleggiatrice. Figuriamoci, non avevo mai palleggiato in vita mia. Gli risposi che ero un’attaccante».
E poi come andò?
«Quando mi ha convocata a Milano per un altro allenamento, dispose da un lato attaccanti e dall’altro palleggiatori e liberi. E mentre stavo andando nel primo gruppo, mi richiamò nel secondo. Il mio cuore si è spezzato».
Quando si è rassegnata?
«Diciamo che due anni dopo, quando hanno cominciato ad arrivare le convocazioni per la Nazionale giovanile e i premi individuali, mi sono convinta pure io. A Marco dico sempre che ha visto in me qualcosa di cui non ero consapevole. Mi piace ricordarlo, è giusto dare i meriti a chi li ha».
Il talento però è il suo! Lei è la regista della squadra: deve decidere in pochissimo tempo che gioco far fare alle compagne.
«È una frazione di secondo: devi scegliere la giocata migliore in base al muro delle avversarie, alla posizione delle tue attaccanti. Più agisco d’istinto, meglio è».
Da bambina chi erano i suoi miti sportivi?
«Vengo da una famiglia juventina, quindi Nedved e Del Piero. Nel volley, Valentina Arrighetti e Francesca Piccinini, le preferite di mia sorella Sara, più grande di me di quattro anni».
Con Arrighetti e Piccinini ha giocato.
«Il primo giorno che ho dovuto alzare le palle a loro ho detto: oddio… Poi ho mandato a mia sorella la nostra foto insieme ed è impazzita!».
Qual è stato il momento più difficile del suo percorso?
«Il primo anno a Milano, senza dubbi. Ho faticato ad ambientarmi, non avevo punti di riferimento. Pure a scuola è stato difficile…».
Come ha fatto a resistere?
«Grazie alla mia famiglia. Mamma la chiamavo anche 5 volte al giorno: è stata brava a non farmi capire che stava soffrendo pure lei».
E nonno Peppino?
«Con lui ho sempre avuto un rapporto speciale. Con mia sorella abbiamo trascorso tanto tempo con i nonni materni, perché per un periodo i nostri genitori hanno avuto un bar e lavoravano fino a notte fonda. Nonno Peppino era pastore e agricoltore. La sera mi divertivo ad aspettarlo nascosta dietro la scala, e quando entrava in casa lo spaventavo. Lui fingeva di cascarci».
Gli mette sempre le medaglie al collo. Le tiene lui?
«No, le due più importanti sono in cassaforte: ma non per il valore economico, è per quello affettivo. Io sono felice di metterle al collo di nonno, quando torno, come segno di gratitudine per lui, per nonna Palmira e per tutte le persone che mi vogliono bene».
In paese sono affettuosi?
«Moltissimo, perché mi conoscono da quando ero bambina, e hanno vissuto il mio percorso fin dai primi passi. Quando vinco sono tutti orgogliosi, perché un pezzettino di quei risultati è anche loro».
Il suo mare del cuore?
«Putzu Idu e Sa Rocca Tunda: li frequentavo da piccola».
I suoi genitori che lavoro facevano?
«Papà muratore, mamma casalinga».
E allenatrice di volley. Le dà ancora consigli?
«No, da quando ha smesso di essere la mia allenatrice non si è più permessa».
Lei a chi somiglia di più?
«Fisicamente a mia mamma, caratterialmente ho preso da entrambi».
E il sorriso, che è il suo marchio di fabbrica?
«Quello più da mamma».
Ha debuttato in Nazionale il 12 luglio del 2015, contro la Repubblica Dominicana. Cosa ricorda di quel giorno?
«Una grande emozione, stavo per compiere 17 anni. Sono subentrata con un doppio cambio durante la partita, le ragazze mi hanno accolta con un sorriso grandissimo perché hanno capito quanto fosse importante, per me, quell’esordio. Ricordo la prima palla servita dall’avversario che cade nel mio campo, io la prendo in stile pancake, facciamo recupero e punto, e tutte mi abbracciano».
Avrebbe mai immaginato di diventare miglior palleggiatrice e miglior giocatrice dei Mondiali 2025?
«No! È un traguardo che non è stato mai scontato. Se me l’avessero detto avrei risposto che era impossibile. Tu puoi sapere solo da dove parti, mai dove arrivi, perché poi un traguardo dipende da tante cose: dal tuo impegno, da quello che ti succede intorno, da come reagisci…».
Alla finale del Mondiale, che effetto le ha fatto battere le giocatrici turche? Alcune sono diventate sue compagne al Fenerbahce?
«In quel momento l’obiettivo era solo vincere. Dopo, certo, le ho salutate: si tratta di top player, sono felice di essere in squadra con loro».
Il suo ingaggio al Fenerbahce è di 600 mila euro. Se in Italia le avessero offerto la stessa cifra sarebbe rimasta?
«Non mi piace vederla così. Sono felice di essere a Istanbul perché la proposta è arrivata al momento giusto: sto facendo un’esperienza sportiva, ma anche di vita. Qui con me c’è il mio fidanzato, Matteo Picchio. In Turchia il volley è seguito come il basket o il calcio in Italia».
La fermano per strada?
«Sì, anche al supermercato o al ristorante. Questo aspetto mi piace molto, perché le persone oltreché calorose sono anche rispettose. E poi mi piace il clima, anche se non è il sole sardo, e il cibo».
Cosa le manca, invece?
«Gli spaghetti con vongole e bottarga! La prossima volta che mia mamma viene a trovarmi me la porta».
Dopo la vittoria ai Mondiali non è andata al Quirinale perché impegnata in Turchia, dove ha vinto la Supercoppa con il Fenerbahce. Le è spiaciuto?
«Ma no, Mattarella l’avevo già incontrato tante volte, per le Olimpiadi, l’Europeo e altre gare. Ci siamo visti pure in Sardegna a un evento».
Con Velasco la squadra è cresciuta: in poco più di un anno avete vinto Olimpiadi e Mondiali. A lei cosa ha detto, in particolare?
«Ci sono stati tanti momenti importanti, ma voglio che restino tra me e lui».
Dopo la vittoria ai Mondiali, in diretta Rai, le è scappata una parolaccia.
Qualcuno l’ha rimproverata, in casa?
«No, nessuno! Avevamo appena vinto il Mondiale, fatto la storia. Anzi, ha fatto capire la felicità e l’entusiasmo per l’impresa».
Ci avviciniamo alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Lei, per uno stalker, ha avuto bisogno della guardia del corpo.
«La decisione la prese la società sportiva di Monza, lo ritenne più sicuro per me. L’ho avuta per un mesetto».
L’uomo che la inseguiva è ancora in carcere?
«Non so se sia in carcere o in istituto, preferisco non pensarci più. È un’esperienza che ha lasciato strascichi: prima ero spensierata, ora sono più attenta nel dare confidenza alle persone. Però nulla succede per caso e anche da quell’esperienza ho trovato un risvolto positivo. La psicologa che mi ha seguito, mi ha aiutata anche a essere più consapevole di me stessa».
Alle Olimpiadi di Los Angeles avrà 30 anni. Ci pensa?
«Sono una che vive nel presente, perché può succedere qualsiasi cosa. Quando arriverà quel giorno, ci penserò!».
17 novembre 2025
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