Sam Fenton, Nina Cristante e Jezmi Tarik Fehmi provano a uscire definitivamente dal circoscritto ambito dell’indie pop con l’album più ambizioso ed eterogeneo a marchio bar italia. A onor del vero la sintesi di dream-pop, shoegaze, psichedelia e post-punk ha già funzionato egregiamente in “Tracey Denim“, ma i passi successivi sono stati contrassegnati da una mancanza di direzione che rischiava di far sprofondare i bar italia nel girone delle promesse mancate. Cambiare per non morire è diventato così il motto della band britannica.

Ammiccante sin dalla copertina in odor di nostalgia e divismo, il titolo “Some Like It Hot” crea un ponte ipotetico tra Marylin Monroe e i Power Station. Il quinto disco del gruppo britannico è un ricco contenitore di suggestioni, alcune delle quali già familiari ai fan, come l’intreccio tra la voce tagliente di Nina Cristante e il timbro alla Robert Smith di Jezmi Tarik Fehmi, e altre apparentemente inedite che tentano di scompigliare le carte in cerca di una nuova identità, che sfugga dai cliché che ne hanno finora caratterizzato le gesta.

“Some Like It Hot” è l’album più coeso della band, ma anche il più prevedibile e monocorde. Lo si evince già dalle prime note del singolo che apre l’album, “Fundraiser”, una canzone che potrebbe essere uno dei singoli più potenti dell’anno. Sam e Jezmi si calano con ardore nel loro ruolo di anime antagoniste, ma il substrato musicale è esangue, dimenticabile già dopo i pochi secondi di silenzio che intercorrono tra la prima e la seconda traccia del disco.

Per un gruppo che può vantare tre lead vocalist, “Some Like It Hot” appare più come un furbo tentativo di confondere le acque, gettando qua e là alcune intuizioni decisamente fuori standard per il gruppo – il riuscito swing pop di “Marble Arch” e l’irritante valzerino pop di “bad reputation” – per poi rientrare nei ranghi dello stile già consolidato, tra slanci languidi “Plastered” e timidi accenni grunge (“Omni Shambles”) che funzionano alla grande nella loro estetica indie-pop alternative, ma mancano di quel minimo di composizione per potere entrare in un immaginario più potente.

L’intreccio tra i tre musicisti funziona come sempre egregiamente, ma come un qualsiasi threesome diventa poco interessante man mano che l’ascoltatore prosegue nell’ascolto senza sentirsi protagonista della messa in scena “sonora”.
Il vorticoso matrimonio tra chitarre e voci dell’ipnotica “Lioness”, il diabolico intreccio di “Cowbella” e il creativo intreccio musicale di “Rooster” sono idee spavalde e intriganti, ma nonostante tutto insufficienti per archiviare “Some Like It Hot” come l’album della consacrazione dei bar italia. Anche se la strada verso la notorietà e il successo è in questo momento lastricata con asfalto lucido e scintillante, ma attenzione, anche molto scivoloso.

17/11/2025