Il mondo del ciclismo riabbraccia un figliol prodigo, George Hincapie, del quale si erano perse le tracce da qualche anno. Uno dei nomi di punta del ciclismo americano a cavallo del secolo, vissuti sempre all’ombra di Lance Armstrong con tutte le perplessità lasciate alla storia, Hincapie è comunque uno che ha vinto tanto, anche classiche di grido come la Gand-Wevelgem del 2001. Ora è a capo della Modern Adventure, nuova squadra professional a stelle e strisce che dal prossimo anno sarà in carovana. Non sono mancati finora alcuni ingaggi importanti, come il ritorno fra i pro’ del sudafricano Stefan De Bod e soprattutto l’abbraccio a Leo Hayter, che aveva lasciato il ciclismo a soli 22 anni per colpa della depressione.
Hincapie, dall’altra parte dell’Atlantico sta lavorando alacremente al progetto, in previsione del training camp che si svolgerà a Greenville dal primo dicembre. L’entusiasmo è esattamente quello che metteva sulle strade europee e anche italiane, Paese al quale è rimasto molto affezionato.


La tua ultima esperienza da direttore sportivo è datata 2018: che cosa hai fatto da allora?
Per essere precisi sono il proprietario della squadra con 3 direttori sportivi. A quei tempi ne avevamo un paio. Io la supervisiono, la guido. Mi sono rimesso in gioco, dopo che dall’esperienza nella Holowesko Citadel mi sono concentrato solo sulla mia famiglia e sulla mia azienda di famiglia: Hincapie Sportswear. Faccio anche un podcast con Lance e viaggio per partecipare a eventi. Quindi non mi sono occupato più di squadre dal 2018, ma ovviamente sono sempre stato un appassionato di questo sport e di tutto ciò che accade. Tornare è divertente, emozionante, anche snervante, ma è una bella sensazione.
Com’è nata l’idea della Modern Adventure e quali sono le tue ambizioni?
Io voglio creare il dream team americano, il dream team del Tour de France. So che ci vorrà molto tempo, molto lavoro, molta pazienza. Mi sento come quando ho firmato con la Motorola a 19 anni. Sono arrivato in Europa e non conoscevo nessuno, ma era molto allettante per me cercare di dimostrare di essere nel posto giusto. E qualunque cosa fosse successa, volevo continuare a lavorare il più duramente possibile per diventare un ciclista professionista di successo. Trent’anni dopo, sono più o meno nella stessa posizione. Voglio dimostrare di poter costruire una squadra di grande successo e rinvigorire il ciclismo qui in America. Anche se abbiamo alcuni ciclisti straordinari americani, sono in squadre diverse in tutta Europa e non riescono a impressionare il pubblico, ad avere lo spazio d’informazione che meriterebbero. I numeri, in termini di audience, stanno diminuendo qui negli Stati Uniti. Quindi, vorrei ricostruire una squadra di serie A che i tifosi americani possano sostenere.


Nel WorldTour ci sono altre squadre americane, ma la tua ha una maggiore densità di corridori Usa. E’ una precisa scelta?
Sì, certo. E in futuro, sarà sempre così. Vogliamo avere almeno il 50 per cento di corridori americani. E’ vero, le altre squadre hanno licenza USA, ma hanno al massimo uno o due americani. Noi vogliamo fare qualcosa di diverso. Sceglieremo corridori da tutto il mondo, ma il nocciolo duro sarà sempre nostrano.
Farete attività sia in Europa che nel calendario americano?
Stiamo valutando a quali gare riceveremo inviti in Europa o in Medio Oriente, nei primi due anni correremo ovunque sarà possibile. Essendo la nostra una squadra professionistica di seconda divisione, non ha inviti garantiti. Ma in questo momento sto viaggiando in tutto il mondo, incontrando quante più persone possibile, parlando di noi e della nostra visione. Ovviamente, vogliamo gareggiare in America, ma non ci sono molte gare, quindi faremo quello che è disponibile, ma l’attenzione sarà rivolta al calendario europeo.
La domanda è d’obbligo. Considerando i tuoi rapporti con Lance Armstrong, sarà coinvolto anche lui nel progetto?
No, siamo in contatto, come detto lavoro con lui al podcast ma la squadra è completamente slegata da Lance e anche nella ricerca di sponsor mi muovo in maniera autonoma, attraverso altre vie.


Il programma americano è fatto soprattutto di criterium: secondo te sono utili e hanno un senso nel confronto con le gare europee?
Difficile dirlo, è completamente diverso. Ne faremo qualcuno. Ma non vanno sottovalutati, ci sono gare emozionanti. Sono gare brevi e adrenaliniche. Piene di azione. Anche in notturna. E’ un tipo di ciclismo diverso e non è su questo che vogliamo concentrarci, ma sicuramente ne faremo un paio di grandi solo per essere presenti, solo per costruire un seguito in termini di fan qui negli Stati Uniti. Ci sono anche gare classiche che stanno sviluppandosi, in Maryland, Philadelphia che sta tornando, poi forse faremo la Redlands, che è una corsa a tappe più piccola. E alcune corse gravel, se andranno a buon fine, per i nostri sponsor come Factor e SRAM.
Con voi torna a correre Leo Hayter: come pensate di sostenerlo dopo i difficili messi che ha passato e che cosa può fare?
E’ incredibilmente talentuoso, ha vinto il Giro NextGen, viene da una famiglia di ciclisti. Io so bene quanto sia difficile il ciclismo, mentalmente in particolar modo. Quando ho visto l’opportunità di riportarlo in un ambiente meno stressante, di fornirgli un’ottima attrezzatura e un ottimo allenamento, ho assunto Bobby Julich come mio direttore delle prestazioni. Lavoreremo tutti per togliergli la pressione, ma anche per fornirgli gli strumenti migliori per tornare al suo livello e anche meglio del suo. So che è rischioso per lui firmare con noi, una piccola nuova squadra, e anche per noi legarci a lui, visto che è appena tornato e ha trascorso così tanto tempo lontano dallo sport. Siamo d’accordo che lavoreremo tutti per il meglio. E personalmente sono molto entusiasta di averlo in squadra. Il ciclismo non perdona davvero né dà molte possibilità ai ragazzi. Io voglio essere qualcuno che può dare alle persone delle chance per tornare a praticare lo sport che tutti amiamo.


Hai intenzione di fare scouting in Europa in futuro, magari in Italia, Paese che conosci bene?
Spero di sì. Sto contattando amici che hanno contatti e conoscenze con gli organizzatori in Italia e anche Maurizio Fondriest mi ha contattato e mi sta aiutando un po’. Voglio correre in Italia, Paese che amo, vogliamo fare tutto il possibile per essere selezionati anche per le gare in Italia e se ci sarà possibilità, portare anche corridori da noi.
Tu hai vinto tanto da corridore, come ti troveresti nel ciclismo di oggi e quanto è diverso dal tuo?
Oh, è molto diverso. Noi gli allenamenti li misuravamo a sensazione, a quantità, oggi è tutto calcolato, l’allenamento, l’alimentazione, il recupero, Il sonno, l’idratazione, i watt… ci sono tanti calcoli e molte meno congetture. Tutti sanno esattamente cosa bisogna fare, quanto cibo devono mangiare. Quindi è molto più avanzato tecnicamente rispetto ai miei tempi. Penso che molti sport guardino al ciclismo per il modo in cui i ciclisti recuperano ora, per il modo in cui si allenano. Credo che sia uno degli sport tecnicamente più avanzati in circolazione.


Quali sono le tue speranze e i tuoi obiettivi per il primo anno della squadra?
Dobbiamo intanto concentrarci sull’immagine e sul branding della squadra, dare ai corridori l’opportunità di correre nelle gare più importanti. E non voglio sembrare pretenzioso, ma so che scenderemo in pista e proveremo a vincere cinque gare. Sarà molto difficile, ma voglio avere un impatto, voglio che i ragazzi si presentino sapendo di avere la migliore attrezzatura, i migliori allenatori e voglio che migliorino le loro prestazioni passate. Diventino ciclisti migliori grazie al nostro programma.