Buone, anzi, ottime “notizie” sia per chi s’è sollazzato col metallo amazzone ed apocalittico degli Smoulder, sia per chi l’esordio sulla distanza dei Meurtrières non l’ha digerito benissimo, essendo partiti, quel gruppo di franzosi lì, su certe premesse promettenti e poi disattese. Un altro esordio heavy franzoso, oggi, un’altra compagnia guidata da una pulzella impavida. Si chiamano Palantyr e The Ascent & The Hunger è il loro esordio eroico, ma noi in realtà li conoscevamo già. Li avevamo incontrati con la vecchia ragione sociale, Destrukt. E già ci erano garbati. Col nuovo nome e la nuova uscita, album breve o Ep lungo che sia, il fomento aumenta ancora. Anche perché i primi tre brani in realtà sono proprio quelli del demo lungo (o Ep breve) dei Destrukt. Anzi, in realtà sono proprio le stesse registrazioni. E anzi, pure la copertina alla fine è la stessa. Solo virata seppia e giallino spento. Ops, e io vi stavo distogliendo dall’ascolto dei Fer De Lance o dei Black Sword Thunder Attack per recensire per la seconda volta lo stesso demo, solo con un nome diverso? Non suona proprio bene come mossa, da intaccare (se pur minimamente) la reputazione inscalfibile di cui Metal Skunk gode presso i suoi ventiquattro lettori. Ma siccome a volte (solo a volte) siamo persone guidate più dall’entusiasmo che dal giudizio critico, allora sì, ribadiamo oggi che i Destrukt/Palantyr sono uno dei nomi su cui puntare di più nel calderone NWOTHM, tra i gruppi esordienti o quasi. E “ce lo riascoltiamo”, questo The Ascent & The Hunter, già solo anche perchè quantitativamente raddoppia la dose con tre canzoni prima inedite.

Oltre al dato squisitamente numerico, comunque, visto che stavolta ci stiamo prendendo spazio e tempo per riprendere anche i pezzi del demo precedente, diciamolo ancora una volta che suonano proprio bene. Primi Maiden, primissimi. Nel suono della chitarra elettrica e in certe urla della cantante Athéna in più di un frangente pare proprio di essere nel primissimo disco della band di Steve Harris & Co. Quindi chitarre che graffiano, ma comunque gentili, avventurose. Ritmiche veloci, per la maggior parte. Atmosfere drammatiche ed eroiche, se non propriamente epiche. Un’attitudine rock’n’roll selvaggia che non significa chaos o sciatteria, ma è energia. I Palantyr di energia ne rovesciano parecchia sull’ascoltatore. Broken Mirror, uno dei brani che conoscevamo già, va di corsa e ti trascina inesorabilmente nella mischia/pugna. Ancora più selvaggio e bellicoso l’attacco di Son of the White Mare. Non c’è che dire, questa band qui, comunque si chiami, avrebbe i numeri per coinvolgere armate sempre più numerose di ascoltatori. Athéna una pulzella in armi determinata e forte, più che dei muscoli, della sua Fede (il Metallo). Alle spalle, i paladini che rovesciano acciaio sui Nemici, in primis le due asce di Odysseus e Atlantes. Nomi che sanno di epos, che assieme al nome tolkieniano che la band si è data raccontano la voglia di narrare mondi e non restare imprigionati in una gabbia autoreferenziale.

La seconda parte dell’Ep lungo (o album breve) mantiene alto il livello. Ravenous attacca più maideniana dei Maiden. Nosferatu ha una melodia semplice e appiccicosa, meno interessante del resto della scaletta, forse, ma anche quella che più probabilmente resta attaccata in testa. Graveyard alla fine procede buia e veloce, proprio come i Tower, gli ultimi. Arriva quasi a lambire il black, nel finale, un po’ come fanno gli Scimitar. Il meglio i Palantyr lo danno forse su questo registro qui, forsennato, dinamico, mutevole. Un pezzo facile come Nosferatu ci sta, fa scaletta, ma spero che evitino la strada, mi ripeto, più facile. Perché fare un metallo semplice ed eroico facile non lo è affatto. E quelli che lo fanno bene non li dovremmo perdere d’occhio. Io ve li ripresento, la prossima volta, a patto che non ripubblichino questo disco qui con tre canzoni in più e un nome diverso. (Lorenzo Centini)