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Proteggere la memoria sociale – quella che permette di riconoscere i propri cari – è una delle sfide più dolorose e irrinunciabili nella lotta al morbo di Alzheimer. Dalle reti che proteggono i neuroni alla biochimica dell’invecchiamento, fino alla sorprendente comunicazione tra muscoli e cervello, tre ricerche internazionali pubblicate negli ultimi mesi aprono scenari ancora impensati. E suggeriscono che i ricordi potrebbero essere difesi non solo intervenendo nel cervello, ma anche attraverso percorsi del tutto inediti.

Le reti che proteggono i neuroni

Una nuova scoperta dell’Università della Virginia e del Virginia Tech apre la strada a un approccio innovativo: la protezione delle reti perineuronali, strutture che avvolgono i neuroni e regolano la comunicazione cerebrale. Gli scienziati hanno dimostrato che la loro degradazione danneggia selettivamente la memoria sociale, rendendo impossibile riconoscere individui familiari, mentre la memoria degli oggetti resta intatta. Un fenomeno che rispecchia quanto accade nei pazienti: il volto di un figlio può diventare irriconoscibile prima di un oggetto qualunque.

«Trovare un cambiamento strutturale che spieghi una specifica perdita di memoria nell’Alzheimer è molto entusiasmante – afferma il coordinatore Harald Sontheimer – Si tratta di un obiettivo completamente nuovo e abbiamo già a disposizione farmaci candidati idonei».

Il team ha testato nei topi gli inibitori delle metalloproteinasi della matrice (Mmp), già studiati in oncologia: bloccando la degradazione delle reti perineuronali, gli animali mantenevano la capacità di ricordare gli altri topi.

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«Quando abbiamo protetto queste strutture cerebrali fin dall’inizio della vita, i topi affetti da questa malattia erano più abili nel ricordare le loro interazioni sociali», spiega la ricercatrice Lata Chaunsali.