Un viaggio visionario tra infanzia e sogno, tra dolcezza e follia: è questo il cuore pulsante del film su Prime Video che Tim Burton ha diretto nel 2005 con Johnny Depp, Freddie Highmore e Helena Bonham Carter. Una storia che, pur rivolta al pubblico familiare, conserva un’anima sorprendentemente ambigua, capace di fondere l’estetica gotica del regista americano con il tono fiabesco e graffiante dello scrittore inglese.
Prodotto da Brad Grey e Richard D. Zanuck, è una commedia che si intreccia col fantasy e un po’ di dramma, che parla di desiderio e moralità, di infanzia e alienazione, di sogni zuccherati e verità amare. La fabbrica di cioccolato è tratto dall’omonimo romanzo di Roald Dahl, ma è molto di più di un adattamento: è un’esperienza visiva e sensoriale che rilegge il mondo immaginato dallo scrittore britannico attraverso la lente del genio burtoniano.
Una prima rilettura – dal titolo Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato – era già stata prodotta nel 1971 con Gene Wilder protagonista. Ma Tim Burton, pur mantenendo il tono ironico e grottesco dell’opera di Dahl, aggiunge una dimensione psicologica più complessa, soprattutto nella figura di Wonka.
La vicenda è nota. Charlie Bucket vive con la sua famiglia in una piccola casa ai margini della città, in povertà ma ricco di affetto. Quando il misterioso cioccolatiere Willy Wonka decide di aprire le porte della sua fabbrica a cinque bambini fortunati che troveranno un biglietto d’oro nelle tavolette di cioccolato, la vita di Charlie cambia per sempre.
Inizia così un viaggio nel cuore della fantasia, dove ogni stanza della fabbrica diventa un universo a sé: un luogo di meraviglia e di giudizio, in cui l’avidità, l’egocentrismo e l’indifferenza dei piccoli ospiti si scontrano con la purezza del protagonista.
Il film riesce a bilanciare la leggerezza della commedia con una vena di inquietudine tipica del cinema di Burton. Le scenografie firmate da Alex McDowell sono un trionfo visivo: tubi colorati, fiumi di cioccolato, alberi di zucchero e giardini di caramelle convivono con ambienti meccanici e metallici, quasi freddi, che rivelano il lato industriale e artificiale del sogno. Tutto è simultaneamente dolce e spaventoso, invitante e respingente. Ma è il cast a dare la marcia in più a questa versione.
Johnny Depp – star assoluta di titoli come “Blow” e “Buon compleanno Mr. Grape” – è un Willy Wonka fragile e stralunato, ma anche un uomo prigioniero della propria infanzia, segnato dal trauma di un padre severo (interpretato, nei flashback, da Christopher Lee) e incapace di relazionarsi con il mondo reale. Dietro l’apparenza eccentrica e la comicità surreale si nasconde una figura malinconica, ossessionata dal controllo e dalla perfezione, simbolo dell’artista isolato e incompreso.
Come ha scritto Manohla Dargis su The New York Times, “Tim Burton restituisce al mondo di Dahl il suo spirito più autentico: quello di una fiaba che non edulcora, ma che ammonisce e diverte allo stesso tempo, ricordando che la dolcezza più vera nasce solo dal cuore”, mentre Peter Bradshaw su The Guardian ha evidenziato come “Johnny Depp è una scelta di casting formidabile», con un’interpretazione «che fonde le manie di Howard Hughes con i toni giganti e sommessi di Michael Jackson».” .
Freddie Highmore, appena tredicenne all’epoca, non sapeva ancora che sarebbe diventato una stella mondiale come protagonista della serie “The Good Doctor”, e regala un Charlie genuino, lontano dai cliché del “bambino eroe”.
Accanto a lui, Helena Bonham Carter – che abbiamo ammirato in capolavori come “Fight Club” e “Il discorso del re” – interpreta la madre di Charlie con dolcezza e misura, offrendo uno dei rari punti di stabilità emotiva in un film dominato dall’eccesso visivo e comportamentale.
Burton costruisce una narrazione sull’infanzia come spazio di libertà e ferita. Charlie rappresenta la purezza salvifica, la parte del mondo che non ha ancora imparato a corrompersi; Wonka è la sua ombra, un bambino che non è mai cresciuto davvero, intrappolato nella sua fantasia e incapace di affrontare la realtà. Il loro incontro diventa quindi un atto di guarigione reciproca: Charlie impara che i sogni possono esistere anche fuori dalla fabbrica, nella semplicità della sua famiglia; Wonka, grazie a lui, scopre che l’affetto e il perdono valgono più di qualsiasi invenzione.
La fabbrica di cioccolato rimane oggi, a distanza di vent’anni, uno dei film più iconici del cinema di Tim Burton: un classico moderno che parla ai bambini di ogni età e ricorda agli adulti che la vera ricchezza non si misura in oro o zucchero, ma nella capacità di restare gentili, curiosi e imperfetti. Un film che, come una tavoletta di cioccolato, nasconde sotto la superficie dolce un retrogusto amarognolo e, proprio per questo, indimenticabile.
Un viaggio visionario tra infanzia e sogno, tra dolcezza e follia: è questo il cuore pulsante del film su Prime Video che Tim Burton ha diretto nel 2005 con Johnny Depp, Freddie Highmore e Helena Bonham Carter. Una storia che, pur rivolta al pubblico familiare, conserva un’anima sorprendentemente ambigua, capace di fondere l’estetica gotica del regista americano con il tono fiabesco e graffiante dello scrittore inglese.
Prodotto da Brad Grey e Richard D. Zanuck, è una commedia che si intreccia col fantasy e un po’ di dramma, che parla di desiderio e moralità, di infanzia e alienazione, di sogni zuccherati e verità amare. La fabbrica di cioccolato è tratto dall’omonimo romanzo di Roald Dahl, ma è molto di più di un adattamento: è un’esperienza visiva e sensoriale che rilegge il mondo immaginato dallo scrittore britannico attraverso la lente del genio burtoniano.
Una prima rilettura – dal titolo Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato – era già stata prodotta nel 1971 con Gene Wilder protagonista. Ma Tim Burton, pur mantenendo il tono ironico e grottesco dell’opera di Dahl, aggiunge una dimensione psicologica più complessa, soprattutto nella figura di Wonka.
La vicenda è nota. Charlie Bucket vive con la sua famiglia in una piccola casa ai margini della città, in povertà ma ricco di affetto. Quando il misterioso cioccolatiere Willy Wonka decide di aprire le porte della sua fabbrica a cinque bambini fortunati che troveranno un biglietto d’oro nelle tavolette di cioccolato, la vita di Charlie cambia per sempre. Inizia così un viaggio nel cuore della fantasia, dove ogni stanza della fabbrica diventa un universo a sé: un luogo di meraviglia e di giudizio, in cui l’avidità, l’egocentrismo e l’indifferenza dei piccoli ospiti si scontrano con la purezza del protagonista.
Il film riesce a bilanciare la leggerezza della commedia con una vena di inquietudine tipica del cinema di Burton. Le scenografie firmate da Alex McDowell sono un trionfo visivo: tubi colorati, fiumi di cioccolato, alberi di zucchero e giardini di caramelle convivono con ambienti meccanici e metallici, quasi freddi, che rivelano il lato industriale e artificiale del sogno. Tutto è simultaneamente dolce e spaventoso, invitante e respingente. Ma è il cast a dare la marcia in più a questa versione.
Johnny Depp – star assoluta di titoli come “Blow” e “Buon compleanno Mr. Grape” – è un Willy Wonka fragile e stralunato, ma anche un uomo prigioniero della propria infanzia, segnato dal trauma di un padre severo (interpretato, nei flashback, da Christopher Lee) e incapace di relazionarsi con il mondo reale. Dietro l’apparenza eccentrica e la comicità surreale si nasconde una figura malinconica, ossessionata dal controllo e dalla perfezione, simbolo dell’artista isolato e incompreso.
Come ha scritto Manohla Dargis su The New York Times, “Tim Burton restituisce al mondo di Dahl il suo spirito più autentico: quello di una fiaba che non edulcora, ma che ammonisce e diverte allo stesso tempo, ricordando che la dolcezza più vera nasce solo dal cuore”, mentre The Guardian ha evidenziato come “Johnny Depp offra una performance stravagante e disturbante, sospesa tra il clown e il sociopatico, perfetta incarnazione della poetica burtoniana dell’outsider” .
Freddie Highmore, appena tredicenne all’epoca, non sapeva ancora che sarebbe diventato una stella mondiale come protagonista della serie “The Good Doctor”, e regala un Charlie genuino, lontano dai cliché del “bambino eroe”.
Accanto a lui, Helena Bonham Carter – che abbiamo ammirato in capolavori come “Fight Club” e “Il discorso del re” – interpreta la madre di Charlie con dolcezza e misura, offrendo uno dei rari punti di stabilità emotiva in un film dominato dall’eccesso visivo e comportamentale.
Burton costruisce una narrazione sull’infanzia come spazio di libertà e ferita. Charlie rappresenta la purezza salvifica, la parte del mondo che non ha ancora imparato a corrompersi; Wonka è la sua ombra, un bambino che non è mai cresciuto davvero, intrappolato nella sua fantasia e incapace di affrontare la realtà. Il loro incontro diventa quindi un atto di guarigione reciproca: Charlie impara che i sogni possono esistere anche fuori dalla fabbrica, nella semplicità della sua famiglia; Wonka, grazie a lui, scopre che l’affetto e il perdono valgono più di qualsiasi invenzione.
La fabbrica di cioccolato rimane oggi, a distanza di vent’anni, uno dei film più iconici del cinema di Tim Burton: un classico moderno che parla ai bambini di ogni età e ricorda agli adulti che la vera ricchezza non si misura in oro o zucchero, ma nella capacità di restare gentili, curiosi e imperfetti. Un film che, come una tavoletta di cioccolato, nasconde sotto la superficie dolce un retrogusto amarognolo e, proprio per questo, indimenticabile.