voto
7.5

  • Band:
    FATE’S HAND
  • Durata: 00:37:20
  • Disponibile dal: 21/11/2025
  • Etichetta:
  • Dying Victims Productions

Streaming non ancora disponibile

C’è qualcosa di deliziosamente fanciullo nel mondo in cui alcuni musicisti di metal estremo, talvolta particolarmente complesso e avanguardistico, si riconnettono alle radici dell’heavy metal, lanciandosi in progetti devoti a sonorità molto classiche e datate.
Ultimi – solo per il momento – a rendersi protagonisti di questa operazione nostalgica sono oggi gli australiani Fate’s Hand, duo formato da Joel Rademaker (qui col nome d’arte Gjöll), chitarrista/bassista dei death/black metaller Consummation, e da Denny Blake (Denimal, nei Fate’s Hand), impegnato in diverse band dell’underground australiano, ma soprattutto cantante degli Stargazer, formazione dedita a formule death metal sperimentali, tortuose e progressive. Come del resto i Consummation di Rademaker non sono propriamente una formazione agile e spensierata, né propongono un metal estremo proprio alla portata di tutti.

I Fate’s Hand, invece, completati dal batterista Langley Smith per le registrazioni (non è invece ufficialmente parte della line-up), suonano tutt’altro: purissimo epic metal. Stile di per sé ideale nel rimembrare le passioni più pure della giovinezza, tra eroi autori di imprese impossibili, mondi immaginari, lotte titaniche, un sistema di valori che mette di fronte buoni e cattivi senza troppe ambiguità nel mezzo.
Se, passando strettamente alla musica, proprio un’idea di suono enigmatica e difficile da assimilare è quanto offrono in maniera diversa Consummation e Stargazer, i Fate’s Hand vanno dritti per dritti cavalcando un’epicità di facile assimilazione, un heavy metal senza fronzoli, arioso e carico di enfasi come pochi altri oggi in circolazione.
L’epic metal si può declinare in vari modi: esasperando lentezza e tensione, stendendo variopinti tappeti melodici, oppure gettandosi in commistioni progressive di grande fascino e, in ultimo, scurendo i toni verso il doom.
I Fate’s Hand scelgono un’altra via ancora, quella più affine all’heavy metal puro, o a certo power metal americano; in questo si accostano volentieri agli statunitensi Eternal Champion, compagine bravissima nel coniugare ardore, epica scintillante e una manciata di canzoni d’assalto, che non si perdono in mille rivoli.

I due di Brisbane hanno idee che guardano volentieri ai primi Manowar e Virgin Steele, laddove in entrambi i casi andavano ad emergere un incedere selvaggio, sfrontato, che non richiedesse troppi ascolti per essere compreso. Il chitarrismo degli australiani è da questo punto di vista veramente essenziale, sfiorando quasi l’hard rock in alcune situazioni e cercando costantemente di prestarsi a un dialogo schietto e immediato con chi vi si approccia.
Ritmicamente, il disco è altrettanto semplice, e assieme appunto a un lavoro di chitarra elementare ma efficace rappresenta un ideale ponte verso i primi anni ’80, portando con sé anche qualche scampolo di metallo inglese di quei tempi.
Ci si alza di livello nel comparto solista, con la semplicità un po’ guascona a rustica delle ritmiche ad aprirsi a solismi luminosi e affilati, perfettamente funzionali all’idea di metallo eroico che si vuole portare avanti. E poi c’è la voce stentorea, piena di pathos, piacevolmente eccessiva nell’enfasi di Denimal: un tipo di vocalità che si sta per fortuna recuperando negli ultimi tempi e nel caso del cantante australiano ancora più esaltante di altri epigoni attuali.

In un periodo storico come questo, dove il linguaggio messo a punto da titani come Manilla Road, Cirith Ungol, i già citati Manowar e Virgin Steele, sta ritornando in auge presso le giovani generazioni di metaller tutti d’un pezzo, fa piacere avere una rivisitazione come quella di “Steel, Fire & Ice”. Il terzetto non ha le ambizioni – almeno per ora, si intende – di costruire qualcosa di particolarmente elaborato come potevano essere i Doomsword a fine anni ’90/primi 2000, oppure gli Atlantean Kodex negli anni ’10. Eppure c’è molta qualità nella loro musica, che entra in circolo in fretta se si amano queste atmosfere.
Entra in circolo e rimane nel cuore, perché la semplicità di fondo non va a discapito di buone costruzioni delle canzoni, melodie gloriose e ritornelli che se presi troppo alla lettera potrebbero farvi prendere in mano uno spadone e uscire in strada a battagliare con qualcuno. Nelle sezioni di più ampio respiro, sembra addirittura di respirare un acre aroma bathoryano, con la band di Quorthon riportata a galla per alcune similitudini con gli anni di “Hammerheart”, “Twilight Of The Gods”, “Blood On Ice”.
L’incalzante “Fount Of All Waters” e le mistiche atmosfera della conclusiva “Stallion of Sky and Seas” sono i punti esclamativi di un esordio convincente ed emozionante. Speriamo non rimanga un caso isolato.

Steel, Fire & Ice by Fate’s Hand